I – lui
l’avevo già notata nella sala d’aspetto dell’aereoporto. un volto noto, anche se celato da grandi occhiali da sole. imbarcati sul volo milano-miami me la ero trovata a fianco, in business class. ci scambiammo soltanto un mezzo sorriso. nel mettere via il bagaglio appoggiai per un attimo sul sedile il passaporto americano. non iniziai conversazioni, l’avevo riconosciuta, sapevo che era un volto noto del mondo dello spettacolo italiano, ma finsi di non sapere chi fosse. il mio essere mezzo americano me lo consentiva. con le hostess usai soltanto l’inglese e nulla faceva pensare che in realtà passavo in italia almeno 6 mesi all’anno.
fu lei ad iniziare una conversazione, direttamente in inglese, un discreto inglese.
II – lui
il fatto che sapessi benissimo l’italiano e che sapessi benissimo chi era furono le uniche cose che le nascosi. per il resto cercai di affascinarla raccontandole la mia vita da imprenditore in florida. neanche lei fu del tutto sincera dato che mi mentì sul suo vero lavoro e non fece accenno alla fama e notorietà di cui godeva. mi soprese questo fatto. il mio fingermi straniero era frutto di un calcolo. pensavo che avrei avuto qualche possibilità in più di stabilire un rapporto se lei credeva che io non la conoscessi. si sarebbe sentita più libera e non mi avrebbe considerato soltanto uno dei tanti che la importunano per la sua bellezza e per la sua notorietà. forse anche lei voleva instaurare un rapporto, anche solo di semplice conversazione, venendo trattata da persona normale.
III – lui
l’oceano fu lungo da attraversare e, a parte qualche ora di sonno, per il resto parlammo a lungo. io non mi mostrai interessato in modo particolare a lei. abituata ad essere continuamente approcciata da spasimanti pensai che avrebbe maggiormente considerato uno che non mostrava subito l’intenzione di portarsela a letto.
prima di atterrare le lasciai il biglietto da visita e la invitai nel mio ristorante, ma rimase un invito molto neutro, senza apparenti secondi fini. pensavo di averla comunque affascinata ed così tentavo una mossa a rischio. potevo non vederla mai più se non si fosse fatta viva lei. ma se invece fosse venuta non sarebbe stata più una semplice conoscenza limitata ad un volo transoceanico.
IV – lui
dopo qualche giorno mi telefonò. finsi, forse esagerando, di non riconoscerla subito. un tavolo da tre per quella sera. certo, avrebbe avuto il migliore della sala.
tra le possibili combinazioni di persone con cui poteva presentarsi ce n’erano due che sarebbero state l’ideale per continuare il mio lento tentativo di seduzione. la prima erano due amiche. la seconda, quella effettiva, erano un’amica, una biondina, a braccetto col suo uomo, un biondo stile modello californiano.
era dunque sola. passai molte volte dal loro tavolo, preoccupandomi che la cena fosse perfetta e dedicandole molte attenzioni. era il momento di mostrarmi più interessato.
V – lui
tornò la sera dopo, a sorpresa. era sola. le feci compagnia quasi tutta la serata. bevve, con piacere, molto vino italiano.
“puoi chiamarmi un taxi?” mi chiese reggendosi al mio braccio.
“ti porto a casa io, non ti preoccupare.” le risposi e non obiettò nulla.
salita sulla mia auto la osservai. era tremendamente sexy, con i capelli un po’ scompigliati.
“non voglio tornare nel mio hotel. non voglio stare da sola, sono troppo ubriaca.”
partii e mi infilai nel traffico notturno, guidando verso casa mia, fuori città, sul mare.
la sollevai e portai di peso dentro casa. nel viaggio si era addormentata.
VI – lui
“ciao.”
stavo leggendo il giornale, sulla veranda che dava verso il mare. lei era appoggiata allo stipite della porta. l’avevo sentita svegliarsi e fare una doccia. ora, a piedi nudi, con i capelli spettinati e bagnati e con indosso una mia camicia e, forse, nient’altro era incredibilmente bella, più di quando la si vedeva in televisione, truccata e ben vestita.
“abbiamo fatto qualcosa ieri sera? non ricordo nulla.” mi disse
“tu hai dormito come una bambina. io ho fatto una doccia e poi sono venuto qui sotto a dormire sul divano.”
“sei proprio un gentiluomo, ma… siamo ancora in tempo per rimediare?” mentre lo diceva si venne a sedere a cavalcioni su di me buttandomi via il giornale. cominciò a sbottonarsi la camicia, lentamente e sensualmente.
VII – lui
“voglio andare a prendere la mia roba in hotel. posso passare qui gli ultimi giorni della mia vacanza? lontano da tutto e da tutti?”
“certo.” le risposi ammirandone la silhouette nuda in controluce. stava guardando fuori dalla finestra, verso il mare.
“ho voglia di correre fino al mare e così, nuda, fare il bagno. normalmente non posso permetterlo, ma qui non c’è nessuno.”
“andiamo.” dissi.
lo facemmo sul bagnasciuga. l’ennesima volta di quel pomeriggio.
VIII – lui
all’aereoporto ci salutammo, senza nessuna promessa o aspettativa. mi disse che con me si era sentita libera. libera di osare. mi disse che di solito con gli uomini non era così. in genere non si concedeva così tanto, non concedeva tutto quello che aveva concesso a me. mentre lo diceva rivivevo il momento in cui si era piegata sul letto protendendo verso l’alto il culo perfetto e aprendoselo con le mani. l’accento italiano mentre mi chiedeva in inglese di fotterla proprio lì.
fui contento di averla fatta sentire in quel modo anche se l’avevo ingannata e l’avevo anch’io, come tutti gli uomini, avvicinata con un secondo fine. decisi che non l’avrei più rivista, se per lei era stata una bella esperienza era meglio se rimaneva tale. la verità avrebbe soltanto fatto male ad entrambi.
certo, quando la rivedo in tv o sui giornali, ho nostalgia del suo culo accogliente.