I
Il mio compito è di stare alla porta della boutique. Accolgo i clienti e dissuado gli scocciatori, quelli che non si potrebbero permettere nessuno degli articoli in vendita ed entrerebbero solo per curiosare, disturbando la clientela esclusiva del negozio.
Per fare questo lavoro occorre una bella presenza, un fisico prestante, savoir faire, conoscenza delle lingue ed essere sempre impeccabili. E’ un lavoro noioso, se vogliamo, che lascia tanto tempo per pensare.
Il negozio dove lavoro, nella via più esclusiva di Milano, è di un famosissimo stilista francese, specializzato in scarpe da donna.
II
Non sono tanti i clienti del negozio che probabilmente serve più come vetrina pubblicitaria che come fonte di introiti. La maggior parte sono turisti stranieri, americani, giapponesi, russi, di solito coppie. Poi ci sono le habituè, donne dell’alta società che vengono da sole o con le amiche, oppure i clienti VIP, le donne dello spettacolo.
Da un po’ di tempo c’era una coppia che veniva molto di frequente. Lui era sulla cinquantina, piuttosto basso e tarchiato, abbastanza anonimo nell’aspetto, se non bruttino. Da come si vestiva e dalla compagna che aveva al fianco si deduceva che fosse pieno di soldi. Lei infatti avrà avuto la metà dei suoi anni ed era bellissima. Alta, con un viso incantevole, lunghi capelli lisci color rame e un fisico da modella di lingerie.
Venivano al negozio e lui le comprava sempre uno degli ultimi modelli di scarpe o di stivali. Lei li provava e camminava per il negozio in bilico su tacchi altissimi che rendevano le sue gambe ancora più perfette. Io di lei un po’ mi ero innamorato, anche perché mi lanciava sempre degli sguardi eloquenti, magnetici e maliziosi. O almeno così li interpretavo io.
III
Stavano uscendo dal negozio, entrambi allegri e soddisfatti per degli stivali che le arrivavano alle cosce. Mentre lui mi passò a fianco mi fece un cenno e mi chiese di uscire un attimo. Mi ritrovai fuori dal negozio con lui che mi parlava in tono cospirativo mentre la sua compagna era davanti alla vetrina di fronte che cercava probabilmente il vestito da abbinare agli stivali.
“Posso contare sulla tua discrezione riguardo a ciò che ti sto per dire?”
“Certamente, signore.”
“Tu ormai ci conosci, veniamo qui spesso e ti sarai fatto qualche domanda su di noi. Ho visto come la guardi, che poi è come la guardano tutti gli uomini, e probabilmente ti rammarichi che una ragazza così bella invece di stare con un suo coetaneo altrettanto bello come sei tu, stia con uno come me, mi sbaglio?”
“Lei, signore, ha tante cose che la gente le invidia, non ultima la sua compagna, ma ognuno ha ciò che si merita.”
“Bene. Cinzia è giovane e bella, ama me e ama sicuramente anche i miei soldi, ma neanche io posso soddisfare tutti i suoi desideri. Io la amo e non voglio perderla per niente al mondo, per questo non voglio che le manchi niente, non voglio che il rapporto con me le impedisca qualcosa. Forse già intuisci dove voglio andare a parare con questo discorso.”
“Non sono sicuro, signore, forse è meglio se me lo spiega.”
“Lei mi chiede un paio di scarpe e io gliele prendo. Se lei ha qualsiasi altro desiderio io cerco di soddisfarglielo. Io ho cinquant’anni, non sono un adone, non ho un gran fisico, non posso appagare tutte le sue voglie. Per questo siamo quella che si può definire una coppia aperta. Tu le piaci, me l’ha detto e quando mi dice così intende solo una cosa…”
La guardai, che sculettava per la via. Tra le mie gambe avevo una erezione.
IV
Entrai nel loro attico di lusso in pieno centro. Dalle vetrate del salone si vedeva la città illuminata. Mi venne incontro lui e mi strinse la mano calorosamente ringraziandomi per essere venuto. Mi fece cenno di seguirlo e mi chiese se voglio qualcosa da bere.
Aprì una porta e mi fece entrare in una stanza piena di libri e con una scrivania al centro. L’unica luce proveniva dalla abat-jour su di essa.
Rimasi colpito dalla scena che mi si presentò. Appoggiata con il petto sulla scrivania c’era Cinzia. Ci volgeva la schiena, aveva i piedi appoggiati per terra, le gambe leggermente divaricate e il culo verso l’alto. Le braccia sembravano legate a qualcosa. Era completamente nuda, fatta eccezione per il paio di scarpe col tacco. Riconobbi il modello. Voltò il viso verso di noi, avendoci sentito entrare, ma non poteva muoversi più di tanto. Notai che era imbavagliata e bendata.
“Eccola.” mi disse lui. “E’ pronta.”
Ero un po’ interdetto. Mi chiesi quanto lei fosse consenziente alla situazione in cui si trovava. Lui mi incitò e mi invitò a spogliarmi e a prenderla.
V
“Oh, Cinzia, vedessi quanto ce l’ha grosso. Ora lo sentirai. Ne hai tanta voglia, vero mia piccola puttanella?”
Mi ero spogliato ed ero pronto per scoparmela, con a fianco il suo compagno che ci ammirava estasiato. Appoggiai la punta del cazzo sull’entrata della sua vagina che era in bella mostra a causa della posizione da lei assunta. Notai un irrigidimento e non mi sembrava eccitata, non la sentivo bagnata.
“No, non lì.” mi interruppe. “Fottila nel culo, le piace di più. E’ una piccola troia viziosa.”
Spostai la punta del glande sullo sfintere anale, esercitando una lieve pressione. Effettivamente mi sembrò di notare che lei avesse un po’ rilassato i muscoli. Le piegoline dell’ano, perfettamente depilato, si aprirono senza troppa difficoltà.
“Dai, rompile il culo a questa maialina. Dai che le piace.” Lui si stava masturbando mentre ci guardava. Lei emetteva dei mugolii, apparentemente di piacere.
VI
“Quando stai per venire, togliti il preservativo e sborrale sulle chiappe.” mi avvisò. Io pochi minuti dopo obbedii.
Appena i miei schizzi finirono di inondarla lui mi congedò.
“Bene, il tuo compito è finito. Vattene. Lasciaci soli, la strada la conosci.”
Uscii dalla stanza e diedi loro un’ultima occhiata. Lui si era inginocchiato fra le gambe di lei e le stava leccando la figa e il culo, ripulendola dalla mia sborra.
VII
Chiusi il negozio e salutai le commesse e il direttore e mi avviai verso la fermata della metropolitana. Sentii alle mie spalle un rumore di tacchi e dei passi veloci.
“Scusami.” sentii chiamare dietro di me.
Mi girai. Era Cinzia. Da sola. Non l’avevo mai vista da sola. Mi si avvicinò.
“Ho bisogno di chiederti una cosa. Hai un attimo di tempo?”
“Certo, dimmi pure.”
“Non qui. Ho l’auto che mi aspetta. Se vuoi ti accompagno a casa.”
Salimmo sulla sua auto, guidata da un autista.
“Eri tu, l’altra sera?” mi chiese a bruciapelo.
VIII
“Cosa ti ha raccontato mio marito?”
“Che a te piace farlo in quel modo, che gli avevi chiesto di me perché ti piacevo, che avevi pensato tutto tu. Mi dispiace molto se non era così. Non so come potrei rimediare.”
“Non ti preoccupare, non ce l’ho con te ma con lui. Non è la prima volta che me lo fa. In realtà piace a lui.”
“Però, scusami, a me era venuto il dubbio, ma ti ho sentito, come dire… ricettiva, disponibile. Ho pensato che ti stesse piacendo.”
“Hai ragione. In effetti l’atto in sé l’ho gradito, poi sospettavo fossi tu e non ti ha mentito quando ti ha detto che mi piacevi. Quello che non mi piace è la cornice, è il mio essere immobilizzata, impossibilitata a partecipare e sapere che mio marito è lì a fianco che si masturba e so che in quei momenti lui è attratto più dall’uomo che mi scopa che da me. In realtà vorrebbe essere lui al mio posto. Mi usa come tramite per le sue fantasie. Infatti non mi scopa più da tempo, gli viene duro solo in quel modo.”
IX
Il viaggio verso casa durò molto più del necessario. Grazie ai vetri oscurati e alla evidente fedeltà dell’autista, concludemmo la chiacchierata in un amplesso in cui Cinzia dimostrò cosa voleva dire quando diceva che voleva partecipare. Il marito non era stato del tutto bugiardo. Era veramente una porcellina viziosa, adorava veramente essere presa dall’entrata posteriore.
“Starò al suo gioco e gli chiederò di chiamare sempre te.” mi disse prima di salutarci. “E cercherò di ottenere più libertà di azione, così scopiamo fra noi come ci pare mentre lui ci guarda. Poi lo convincerò ad assecondare veramente le sue fantasie e ad essere lui quello legato e sodomizzato.”