Due amiche, una vacanza e un viaggiatore solitario, che non sempre ha la fortuna di incontrare due come loro, ma sa come rimediare.
la mia amica barbara si era appena laureata e aveva appena mollato il suo fidanzato storico. mi aveva proposto di fare un viaggio, noi due sole, lontano dalla nostra vita quotidiana. un viaggio senza una meta, senza una scadenza.
eravamo partite all’avventura, spostandoci e dormendo dove e quando capitava, a volte anche in posti non molto raccomandabili. avevamo girato la grecia a bordo di autobus e treni. ci eravamo poi imbarcate su un traghetto e saltavamo da una isola all’altra.
“che facciamo ora?” mi chiese barbara contando di nuovo i soldi che ci erano rimasti. “si torna a casa?” aggiunse sconsolata.
nessuna di noi due aveva voglia di terminare quel viaggio, ma non avevamo i fondi per proseguirlo molto a lungo.
eravamo nel porticciolo del villaggio di una piccolissima isola, il cui nome avevamo dimenticato subito scese dal traghetto la sera prima.
restammo in silenzio, assaporando quelli che forse erano gli ultimi scampoli di vacanza. di fronte a noi un ragazzo stava sistemando la sua barca a vela. la nostra attenzione fu catturata da lui.
era un bel ragazzo, alto, biondo, muscoloso e con la pelle cotta dal sole. si muoveva in maniera sicura sulla sua barca. ad un certo punto alzò lo sguardo e notò noi due che lo guardavamo. ci sorrise.
si chiamava jeffrey, veniva dalla nuova zelanda ed era un anno che girava il mediterraneo in barca. facemmo amicizia. fu barbara, la più intraprendente fra noi due a rompere il ghiaccio e ad aprire la conversazione in inglese.
sembrò subito simpatico e voglioso di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno: il suo viaggio, d’altronde doveva essere piuttosto solitario.
stava per partire e lasciare l’isola. ci mostrammo subito deluse alla notizia, ma lui ci offrì subito di andare con lui. ci guardammo un attimo fra noi e bastò un cenno di intesa. nessuna voleva lasciarsi sfuggire quella occasione, nessuna voleva lasciarsi sfuggire quel ragazzo.
mentre sistemavamo i nostri zaini nei piccoli spazi dell’imbarcazione ci dicemmo alcune cose fra noi in italiano.
“hai visto che figo!” dissi con barbara.
“minchia sì. spero che per te non sia un problema ma io ho certe idee su di lui…”
“eh, mi sa che ce le ho anche io…”
“ma… e come fai? voglio dire… il tuo ragazzo?”
“non fare la bigotta! lui non c’è su questa barca e non saprà mai nulla, giusto?”
“di certo non sarò io a dirglielo.” mi rispose barbara, complice. “ma tu hai problemi se, diciamo così, ce lo facciamo insieme?”
“eh, anche volendo, qui non c’è molto spazio. in fondo nude fra noi ci siamo già viste, no?”
“sì, ma non mentre facevamo sesso e poi, non so, se ci scappa qualcosa fra noi?”
ci guardammo. eravamo amiche ma mai avevamo considerato l’ipotesi. ci avvicinammo e, istintivamente, ci baciammo. in quel momento arrivò jeffrey.
“ehm ehm.” lo sentimmo schiarirsi la voce, scusandosi per averci sorpreso in quel momento di intimità. “we’re leaving.” disse.
durante il giorno noi eravamo state sul ponte della barca a prendere il sole, in topless. jeffrey conduceva la barca senza problemi e senza bisogno del nostro aiuto. facemmo anche un bagno, in alto mare.
navigammo fino a sera quando ci ancorammo vicino alla costa di un’isola sconosciuta. jeffrey ci spiegò che l’indomani saremmo dovuti sbarcare per fare provviste, dato che le scorte che aveva lui erano per una singola persona.
c’erano due cabine singole e jeffrey si offrì di lasciarcele a noi due. non ricordo bene come andarono le cose, chi fece le prime allusioni e chi le prime mosse concrete, ma in breve ci ritrovammo tutti e tre, stretti e nudi dentro una cabina.
“nice italian girls.” sussurrò jeffrey quando ci inginocchiammo entrambe per contenderci il suo membro che avevamo intuito essere, già dal rigonfiamento del costume, di imponenti dimensioni.
fu resistente, ma noi eravamo in due e ad un certo punto non ce la faceva più a soddisfarci entrambe. fu per noi naturale, anche se inedito, donarci piacere a vicenda. un primo rapporto saffico per entrambe, nella terra di lesbo. in quel momento non eravamo più amiche, ma amanti.
jeffrey sparì per un attimo e torno con in mano un oggetto. per rimediare alla sua impossibilità fisica di essere sufficiente per entrambe ci aveva portato un dildo vibrante che potevamo usare l’una sull’altra.
ci guardò mentre ci penetravamo a vicenda, riacquistando poi lui stesso vigore per scoparci nuovamente.
“da dove lo hai tirato fuori?” gli chiedemmo in inglese, indicando il dildo. “come mai giri con un dildo sulla barca?”
alzò le spalle, come stupito dalla domanda.
“non sempre sono in compagnia con due belle ragazze.” rispose.
“vuoi dire che…?” chiedemmo in coro.
lui annuì, scrollando le spalle come se fosse una cosa ovvia. ci guardammo fra noi e ridemmo.
“ci fai vedere?” chiese barbara impertinente.
dopo qualche insistenza jeffrey prese il dildo, lo lubrificò e, messosi a pecorina, se lo infilò tutto senza nessuna esitazione nel culo. si masturbò e venne per l’ennesima volta della serata, sotto i nostri occhi ammirati e stupiti.