Orchidea

Una dialogo fra potenziali amanti sconosciuti. Una donna che lo sente e un’altra donna che non se la sente.

Nonostante fossi spesso in trasferta di lavoro ancora non mi ero abituata alla strana sensazione di cenare da sola al ristorante. Quando lo facevo, non avendo altro da fare, mi divertivo ad osservare gli altri commensali agli altri tavoli, studiandone comportamenti e caratteristiche, ascoltandone le conversazioni ed immaginando le loro vite.

Quella sera sembrava poco interessante in quanto ad umanità che popolava il raffinato ristorante dell’hotel presso cui alloggiavo, fin quando una conversazione mi giunse all’orecchio e stimolò la mia curiosità. Proveniva dal tavolo dietro di me ed erano un uomo e una donna che confabulavano a voce bassa, tanto che facevo fatica ad udirli. Alcune mezze frasi, alcune parole, però, catturarono la mia attenzione.

“Ti farò tutto ciò che voglio, perché sarà ciò che anche tu vorrai.” disse l’uomo con una voce profonda. Non sentii la risposta di lei.

“No, no.” ancora lui, “Guarda, io preferisco non legare la donna, non ammanettarla, non bendarla, non immobilizzarla, insomma. Però so per esperienza che a volte questo vi facilita, vi sentite più libere se siete costrette e lo apprezzate di più.”

“Non so se me la sento.” mi parve di sentire da parte di lei.

“Non sei obbligata. Sei tu che mi hai cercato, ma se non te la senti faremo un’altra volta. Perché secondo me poi te ne pentirai e mi vorrai di nuovo. Devi solo decidere se salire in camera con me o no. Da quel momento sarai obbligata, da quel momento sarai nelle mie mani, da quel momento ti farò provare ciò che non hai mai provato finora. In camera sarai mia.”

“Non lo so.”

“Hai sempre la safe-word, te la ricordi la safe-word? Puoi interrompere quando vuoi. Anche se nessuna ha mai voluto interrompere.”

“Orchidea. Sì, me la ricordo: orchidea.”

“Decidi tu. Ti prometto che sarà una notte di sesso indimenticabile.”

“Si può fare mettendo dei limiti?”

“Limiti? Forse ti è difficile crederlo adesso che sei seduta in mezzo alla gente di questo ristorante, ma tutto ciò che ti farò saranno cose che tu vorrai che io ti faccia.”

“Appunto, è delle mie voglie che ho paura.”

“Temi che ciò che farai con me stasera poi non saprai dimenticartelo e vorrai farlo e rifarlo? Temi di liberare finalmente la troia che è dentro di te? Temi di tornare dal tuo maritino e non saperlo più guardare con gli stessi occhi?”

“Sì. Forse. Anzi, sì, è esattamente questo.”

“Brava, vedo che hai capito. Non devi temere in che modo ti donerò gli orgasmi, anche se in certi modi non li hai mai provati. Non devi aver paura di quali buchi ti penetrerò, anche se in uno mi hai detto che non sei abituata. Non devi aver timore della mia dotazione, anche se quando lo vedrai per un attimo sarai forse sconvolta. Ciò di cui devi aver paura è della tua mente, della libertà che le concederai, delle fantasie a cui finalmente darai corpo. Dopo non sarai più la stessa. Nessuna dopo di me è stata più la stessa.”

“Così non mi aiuti, però.”

“Non sono qui per aiutarti. Sono qui per fotterti. Per scoparti. Per sconvolgerti di piacere. Se non sei pronta non c’è gusto a farlo. Sono disposto a rinunciare al sesso per questa sera, tanto so che tornerai. Se non te la senti stasera la tua paura aumenterà e con essa anche il desiderio di vincerla.”

La conversazione, a cui ormai mi ero appassionata, si interruppe. Nessuno dei due disse più nulla per alcuni istanti. Poi udii un bip di un telefono. Passarono alcuni secondi e sentii lei alzarsi.

“No. No. No. Non posso farcela. Scusami. Non posso.”

“Era un messaggio di tuo marito quello che è arrivato?”

“Sì. Forse è arrivato proprio nel momento giusto. O in quello sbagliato. Non lo so.”

“Sai dove trovarmi. Quando la voglia non sarà più contenibile.”

Capii che lei se ne stava andando e quindi non resistetti più. Dovevo girarmi e guardare i protagonisti di quella strana conversazione. Vidi lei solo di spalle: una figura sinuosa, con curve femminili un po’ abbondanti, una grande chioma di capelli fulvi e un abbigliamento sofisticato e leggermente ammiccante. Corricchiò via a passettini veloci sui tacchi.

Poi rivolsi lo sguardo sull’uomo, che invece si stava risedendo al tavolo. Intorno alla cinquantina, brizzolato, lineamenti spigolosi e abbigliamento di alta sartoria. Aveva un sorriso sardonico sul volto e il suo sguardo si posò su di me. Lo sostenni per qualche istante, fissandolo negli occhi. Poi mi voltai.

“Mi ero accorto che ci stava ascoltando.” sentii la voce di lui poco dopo.

Mi voltai vergognandomi come se fossi stata colta nel fare qualcosa di estremamente riprovevole.

“Come dice scusi?”

“Sì. Ho notato come spingeva indietro la testa, come orientava le orecchie per cogliere quello che dicevamo. Ma la capisco, la nostra non era certo una di quelle conversazioni banali che si fanno tra sconosciuti.”

“Ma guardi… non volevo… ma le vostre voci si sentivano…”

Ero avvampata ed ero molto imbarazzata.

“Non si preoccupi, se volevo non farmi sentire non mi sarei fatto sentire.”

Mi voltai dandogli così nuovamente la schiena. Non sapevo che dire e pensavo di togliermi dall’imbarazzo in quel modo. Per un po’ non aggiunse altro, poi:

“A lei piace mangiare da sola?”

“Come?”

“Mi chiedevo, visto che siamo entrambi seduti da soli ai nostri tavoli, se non volesse unirsi a me per il resto della serata.”

“Intende per cenare?”

“Per cenare, certo. Vuole unirsi a me anche per fare altro?”

Io arrossii e distolsi lo sguardo. Non risposi e lo fece lui al posto mio:

“Dalla sua reazione credo proprio di sì. Credo che la nostra conversazione l’abbia interessata ancor più di quello che ha dato a vedere. Vuole prendere il posto della signora che se ne è andata?”

Mi alzai e mi sedetti di fronte a lui. Ci fissammo negli occhi, studiandoci. Poi arrivarono le ordinazioni e feci cenno al cameriere che avevo cambiato tavolo.

Riprendemmo la conversazione, ma stavolta discorrendo del più e del meno, di temi generici che sembravano fatti apposta per sviare da quello a cui in realtà stavamo entrambi pensando. Non toccammo nessun argomento delicato o che avesse a che fare con il dialogo che avevo ascoltato. Ma entrambi avevamo capito che non c’era bisogno di parlarne.

Al termine della cena gli dissi che io alloggiavo in quell’hotel. Poco dopo stavamo salendo insieme con l’ascensore.

Passai la chiave magnetica sulla serratura e la porta scattò. Prima di entrare mi girai.

“Credo… credo sia meglio se mi immobilizzi. Non credo di essere pronta ad accettare quello che mi farai essere.”

“Se ne sei consapevole in realtà sei anche pronta, ma farò quello che tu vuoi.”

“Va bene. Legami e fammi tutto ciò che io voglio che tu mi faccia.”

“Ricordati la parola: orchidea.”

Entrammo nella stanza.

Io, per tutta la notte, non pronunciai mai nessun nome di fiore.

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