Stress

Dopo dure giornate di lavoro a lei serviva un modo per rilassarsi, qualcosa che non la facesse pensare, qualcosa che la scaricasse di responsabilità…

Ero distrutta, stanca, esausta. Era stata una giornata terribile al lavoro. Avevo un ruolo di responsabilità e di fronte ad una serie di problemi avevo dovuto prendere delle decisioni difficili, importanti e dagli esiti incerti. Avevo mal di testa e mi sentivo svuotata. Per di più quella sera ero invitata ad una cena e ad aggravare il tutto mio marito era via e non poteva neanche darmi conforto. Pensai di non andare alla cena, ma poi, sentendolo al telefono lui stesso mi convinse che mi avrebbe fatto bene distrarmi e rilassarmi un po’.

Non sembrava funzionare. Ero alla cena ma ero ancora tesa e pensavo alla giornata di lavoro. Non sapevo se avevo fatto le scelte giuste ed ero preoccupata. Per un po’ ero del tutto estraniata dall’ambiente, non facevo caso ai miei vicini di tavolo ed ero persa nei miei pensieri. Tanto che se ne accorsero.

Un uomo di fronte a me, che non conoscevo, cominciò a fare conversazione cercando di fare il simpatico e il brillante. Per un po’ quasi lo ignorai, rispondendo a monosillabi e non dandogli corda. Poi la sua insistenza ebbe la meglio e riuscì a catturare la mia attenzione. A pelle non mi sembrò subito simpatico ma capii che era la mia unica occasione per scacciare i brutti pensieri.

Volle sapere cosa avevo, perché ero così assente e rabbuiata. Gli raccontai. Sembrò interessarsene e quasi preoccuparsene. Poi, riacquistando un po’ di lucidità, capii che in realtà ci stava provando con me. Ci stava provando e mi stava invitando a bere per rilassarmi e, sicuramente nella sua idea, per abbassare le mie difese. Lui come uomo non mi ispirava particolarmente ma pensai che diventare un po’ più allegra grazie all’alcool era una buona idea. Di solito lo reggevo bene e l’avrei potuto tenere a bada.

Forse non valutai bene la mia stanchezza o il fatto che avessi mangiato poco. Oppure la mia testa aveva solo bisogno di staccare veramente, di sballarsi un po’. In breve ero più brilla del previsto. Lui grazie anche a questo acquisì sicurezza e insistette nel tentativo di seduzione. Gli avevo detto che ero sposata, gli avevo fatto vedere la fede, ma questo non gli aveva fatto cambiare l’atteggiamento.

La sua mossa vincente forse fu il fatto che mi ascoltò. Si lasciò raccontare tutti i problemi che mi attanagliavano e si conquistò così la mia fiducia. Fu galante per tutta la cena ma poi, appena terminata, affondò il colpo.

Mi stava accompagnando alla macchina, io mi reggevo a lui camminando incerta sui tacchi. E mi parlò, con un tono diverso da prima, più basso, più deciso.

“Sai cosa ti ci vorrebbe a te stasera, per scacciare dalla mente tutti i pensieri? Hai due alternative: una malsana e una sana. Quella malsana sarebbe sballarti di droghe.”

“E quella sana?” chiesi io cadendo così nella sua trappola.

“Quella sana sarebbe fare tanto sesso, di quello che non ti fa pensare, di quello animale, di pura passione fisica senza sovrastrutture. Da quanto tempo non fai un sesso del genere? Lo hai mai fatto con tuo marito? Oppure con lui ti freni e lui si frena, perché avete paura ognuno del giudizio dell’altro? Eh? Da quanto non perdi il conto degli orgasmi, non sai più chi sei e non vuoi altro che un corpo maschile che ti penetra come se non ci fosse altro nella vita?”

Lo guardai inebetita. Davvero mi aveva detto tutte quelle cose?

“Io posso darti tutto questo. E ho un cazzo che non ti dimenticherai facilmente.” promise concludendo.

Ecco, la me stessa normale di fronte ad un uomo così lo avrebbe mandato via seppellendolo con una risata. Gli sbruffoni non mi piacevano. Ma quella sera non ero normale. Quella sera ero in cerca di qualcosa che mi facesse uscire dal mondo. Quella sera non ero in me ed ero anche un po’ ubriaca. Non ricordo molto di cosa gli dissi. So che dopo poco ero in auto con lui.

“Da adesso in avanti ti tratterò un po’ da puttana. Non ti offenderai, è quello che vuoi, in realtà, anche se ancora non lo sai. Ora slacciami i pantaloni e succhiami il cazzo mentre andiamo.”

Quello era forse il primo test. Se facevo quello forse avrei fatto tutto il resto. Se mi rifiutavo sarebbe finita lì. Quasi sorpresi me stessa mentre mi chinavo verso di lui. Poi mi sorpresi scoprendo che non aveva mentito almeno riguardo alla sua dotazione. Ebbi un barlume di lucidità mentre glielo succhiavo. Pensai quello che mi aveva sempre fatto rifiutare di praticare una fellatio mentre uno guidava: pensai che era pericoloso. Mi immaginai un incidente e i commenti della gente su questa stimata professionista colta a fare un pompino ad uno sconosciuto.

Fu forse l’ultimo pensiero razionale della serata. Poi ebbe di nuovo ragione lui: quella sera non volevo altro che sballarmi e lo feci col sesso.

Non sarebbe stato lo stesso con mio marito. Con lui non avrei potuto essere così assente durante la scopata. Per assente intendo che con quell’uomo diventai solo corpo. Era come se la mia mente si fosse spenta. Non dovevo pensare a nulla. Lo lasciavo fare, gli donavo il mio corpo e mi prendevo indietro il godimento. Non avevo paura di essere giudicata male. Già lui mi trattava da puttana e questo era così liberatorio. Potevo essere come volevo. Potevo dare il peggio di me stessa.

Nonostante le dimensioni del suo sesso, anzi forse proprio a causa di quelle, ciò che lui amava fare era sottomettere analmente le sue partner. Me lo descrisse proprio come un rituale e mi promise che seguendo tutti i suoi ordini mi avrebbe portato all’estasi. Non ho ricordi precisi ma credo che quella sera non mi penetrò mai nella figa, passò subito, dopo averlo preparato con le dita, a penetrarmi l’ano.

Io dovevo solo abbandonarmi a lui e mai fui più contenta di farlo, dopo quella giornata carica di responsabilità. Ero sottomessa e non dovevo far altro che esserlo.

La terapia anale la chiamava lui. E funzionò.

I giorni successivi il ricordo di quella serata cominciava a svanire ed io ero pronta a collocarlo nel cassetto di quelle pazzie da fare una volta nella vita. Ero convinta che non l’avrei mai più rivisto anche se lui aveva insistito per lasciarmi il suo numero.

Poi ritornò lo stress sul lavoro. Le giornate dure e la necessità di svuotare la mente in qualche modo. Mi ritrovai a pensare a quella sera. Mi ritrovai a pensarmi con la testa sul cuscino, appoggiata sulle spalle e sulle ginocchia con il culo in alto. E con quell’uomo imponente che, quasi incurante di tutto, mi infilava e sfilava la sua ventina di centimetri di carne nel mio retto. E io godevo ed ero in estasi ed ero felice lontana dai problemi del mondo.

Ero rimasta sola nella sala riunioni. I piani erano stati fatti, le decisioni prese. Ci aspettavano sicuramente momenti difficili.

Scrissi a quell’uomo, chiedendogli se era libero. Ricevuta la risposta scrissi a mio marito.

“La riunione si prolunga, ne avrò anche per il dopo cena. Ti aggiorno dopo. Un bacio.”

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