Controllata

A volte è difficile lasciarsi andare, perdere il controllo della situazione. Serve qualcuno che ti aiuti a farlo.

Le sconfitte ti riempiono di dolore. Le vittorie ti svuotano.

Ero nella camera di un lussuoso hotel nel centro di Milano, la mia base per la prova che avevo dovuto affrontare. E dalla quale ero uscita vincitrice.

Una presentazione preparata per settimane. Limata fino all’ultimo dettaglio. Provata e riprovata perché nulla andasse storto. Alla fine li ho convinti. I soci dell’azienda per cui lavoro mi hanno nominata al vertice del gruppo. Io, una donna. Loro erano tutti uomini.

Ce l’ho fatta grazie alle mie capacità e alla mia mania di avere sempre tutto sotto controllo. Vado in ansia se qualcosa sfugge al mio controllo. Ma dopo una prova simile, uno stress simile, mi sentivo vuota, sfinita. E forse l’unica cosa di cui avevo bisogno era di lasciarmi andare, di perdere, una buona volta, il controllo sulla mia vita.

Nei film succede sempre così. Una donna sola in un locale, un bell’uomo l’avvicina e dopo finiscono a letto. Ci pensai mentre ero seduta al bancone del locale che mi ero fatta consigliare dalla ragazza alla reception dell’hotel. Le avevo detto che volevo un po’ di svago, ballare forse, bere qualcosa, conoscere qualcuno.

Come nei film il bell’uomo arrivò. Galante e gentile si fece avanti per conoscermi. Io ero vestita ancora come durante la riunione di lavoro, dunque elegante ma con un tono professionale non adatto al locale.

Era di qualche anno più vecchio di me e sapeva approcciare una donna. Io avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi, ma anche di qualcuno con cui festeggiare. Ero single. L’ultima mia relazione era finita qualche anno prima, vittima del mio attaccamento al lavoro e, probabilmente, della mia mania di controllo.

Raccontai tutto a quell’uomo. Quella giornata, la mia promozione e il fatto che ero svuotata e avevo bisogno di abbandonarmi a qualcosa. Quell’uomo sapeva ascoltare. Forse era quello il suo segreto.

Fu discreto ed educato nel propormi in proseguio della serata in maniera più intima.

“Mi stai proponendo del sesso?” gli chiesi senza mezzi termini.

“Sì.” rispose lui sincero. “Credo sia quello di cui hai bisogno. Niente come il sesso ti permette di staccare, di lasciarti andare, di perdere il controllo, come dici tu.”

“È proprio quello il mio problema. Neanche nel sesso mi lascio andare del tutto. E invece avrei proprio bisogno di farlo.”

“Allora andiamo?” mi propose.

Lo guardai e ci riflettei un attimo su. Non aveva niente che non andava. Era probabilmente meglio di tutti i fidanzati che avevo avuto. Forse sarebbe stato anche il miglior sesso che avrei fatto. Ma mancava qualcosa. E glielo dissi.

“Senza offesa, ma credo che tu non sia sufficiente.” gli dissi.

“In che senso?”

“Puoi essere il miglior amante del mondo ma io…” cercavo dentro di me le parole per esprimermi. “Io… o stasera provo qualcosa di forte o non riesco…”

“Cosa vuoi dire? Non capisco.”

“Ti dico come andrebbe: ti seguirei, inizieremmo a fare sesso, io per un attimo mi lascerei andare ma poi… tornerei in me. E il nostro incontro diventerebbe qualcosa di non soddisfacente per nessuno dei due. Sono fatta così. Non sono una che riesce a osare.”

Lui mi guardò pensieroso.

“E invece forse potresti riuscirci. Osando più di quel che pensi. Facendo qualcosa di forte, come hai detto. Ti porto in un posto. Fidati di me.”

Lo guardai sospettoso. Avevo voglia di fidarmi. Sarebbe riuscito a farmi perdere il controllo. Ordinammo ancora da bere. Dovevo essere un po’ più brilla di quanto già non fossi. Avrebbe aiutato.

Poi lo seguii. Prendemmo un taxi. Lui diede un indirizzo. L’autista sogghignò e poi guidò per le strade di Milano che cominciavano a svuotarsi. Uscimmo dal centro. Ci lasciò davanti a quello che sembrava un vecchio capannone industriale.

“Che posto è questo?” chiesi al mio accompagnatore appoggiandomi al suo avambraccio.

Non disse niente ma mi trascinò con lui. Entrammo e c’era una ragazza ad un bancone. Ci prese i cappotti e volle vedere i nostri documenti. Io rimasi un po’ spiazzata. Lui mi sussurrò:

“Fidati.”

Entrammo poi nel locale vero e proprio. C’era un bar, alcuni tavolini e divanetti. C’erano alcune coppie e uomini solitari. Notai che le donne erano tutte vestite molto provocanti, molto più di me che mi sentii inadeguata. Eppure mi accorsi che attiravo molti sguardi allupati. Prendemmo ancora qualcosa da bere, la prima consumazione era compresa nell’ingresso. Non so cosa presi, lui ordinò per me al barista qualcosa di forte.

Poi ci trasferimmo in una sala adiacente. C’era musica, una pista da ballo, alcuni divanetti e dei cubi su cui ci si poteva salire per ballare esposti alla vista di tutti. Su uno di essi c’era una donna, un po’ in carne, che ballava vestita solo di lingerie. In mezzo alla pista altre coppie ballavano e gli uomini palpavano in maniera palese le loro compagne di ballo.

“Vuoi ballare?” mi chiese lui. Io annuii. Lui mi porse la mano e mi invitò a salire su uno dei cubi. Io subito mi rifiutai ma poi accettai. Ed iniziai a ballare e a mettermi in mostra. Iniziai a lasciarmi andare. Lui sotto mi guardava e mi desiderava, era palese. E come lui altri uomini. Anche qualche donna, forse.

Mi lasciai trascinare dalla musica ipnotica. Ballai un po’ ad occhi chiusi. Poi vidi che il mio compagno di serata si era allontanato. Vidi che parlava con un paio di uomini. Indicandomi. Poi si spostò e fece la stessa cosa con un altro. E un altro ancora.

Dopo alcuni minuti, quando io cominciavo a sciogliermi del tutto, venne da me.

“Andiamo di sopra?” mi urlò nelle orecchie. Forse non era neanche una domanda, era un ordine.

Mi aiutò a salire le scale. Dietro di noi ci seguivano gli uomini con cui lui aveva parlato. Io ovviamente avevo capito cosa stava succedendo, ma, in qualche modo, il mio cervello me lo nascondeva a me stessa. Stavo lasciando che le cose accadessero, senza che io provassi ad oppormi o a farle andare come volevo io.

Mi porto in una stanza illuminata solo da una tenue luce rossa, come tutto quel piano del locale. Al centro c’era un grande letto tondo. Mi ci fece salire, insieme a lui. Poi iniziò a spogliarmi. Gli uomini ci avevano seguito fin dentro la stanza e si erano disposti attorno al letto. Alcuni si erano abbassatti i pantaloni e si menavano il cazzo. Altri si stavano proprio denudando.

Anche io fui ben presto nuda. A quel punto il mio accompagnatore si fece indietro. Mi sussurrò solo poche parole.

“Lasciali fare. Lasciati andare. Non pensare a niente. Fidati di me.”

Sobbalzai a sentire il primo contatto tra la mano di uno sconosciuto ed un mio seno. Subito dopo un’altra mano mi afferrò una chiappa. Poi sulla coscia. Uno mi gira la testa, e mi bacia. Una mano in mezzo alle gambe. No, non è una mano, è una testa, una lingua. Un’altra lingua gioca con un mio capezzolo. Qualcuno mi appoggia un cazzo duro sulla mano. Glielo stringo. Glielo sego. Un altro cazzo mi tocca la guancia. Lo prendo in bocca.

Mi sto lasciando andare. Sta funzionando. Forse sono ubriaca. Normalmente mi sarei spaventata in una situazione del genere. Sarei scappata. Forse solo quella sera poteva succedere.

Non avevo mai fatto nulla di lontanamente paragonabile a qualcosa del genere. Quella sera sono entrati in me più cazzi di tutti quelli che erano mai entrati prima di allora. Uomini sconosciuti. Quasi non li ho visti in faccia. Di certi l’unico contatto con loro è stato il loro membro duro che cercava di farsi largo in uno dei miei orifizi. Molti mi hanno penetrato anche nel culo. Erano anni che non succedeva.

Non ero neanche io. In certi momenti era come se fossi fuori dal mio corpo. Mi lasciavo fare di tutto. Ho avuto tre cazzi dentro di me nello stesso momento. Come la peggiore delle pornostar, anzi forse come la migliore, non sono pratica della materia.

Non so quanto tempo sono stata lì in mezzo. Non so quanti uomini avevo attorno. Crollai esausta, e mi addormentai anche, su quel lettone fino a quando il mio accompagnatore iniziò a rivestirmi per portarmi via. Lo fece quasi di peso. Uscii senza aver indossato tutti i vestiti e scalza con le scarpe in mano.

“Dove ti devo riportare?” mi chiese premuroso. Gli dissi il nome dell’hotel.

“Accompagnami fin su, ti prego.” gli dissi una volta arrivati. Ne avevo bisogno, quasi non mi reggevo in piedi. Lui gentile, o ancora interessato a me, lo fece. Superammo lo sguardo curioso del portiere di notte ed entrammo in ascensore. Io avevo riacquistato una certa lucidità.

“Tu quale sei stato? Cosa mi hai fatto?” gli chiesi, curiosa.

“Non ti ho fatto nulla io. Ti ho dato in pasto a quegli uomini e ti ho guardato.” rispose.

“Vuoi dire che tu non mi hai scopato? Non ne hai approfittato?”

“Perché avrei dovuto, lo spettacolo di vederti in mezzo a loro, di vederti perdere il controllo, di vederti in quella condizione, di averti trascinato io tra loro è stato mille volte più eccitante che infilare il mio cazzo in uno qualsiasi dei tuoi pertugi.”

“Ero così… sconvolgente?”

“Eri magnifica. Credo di averti scopato la mente più di quanto ti abbiano scopato il corpo tutti quegli uomini messi insieme.”

“Hai ragione.”

Entrai in stanza. Mi sentivo sporca e dolorante.

“Puoi fare qualcosa per il mio corpo, adesso?” gli chiesi implorante. “Puoi lavarmi sotto la doccia? Io non credo di esserne in grado.”

Ci spogliammo entrambi nudi ed entrammo nella grande cabina doccia presente in bagno. Mi misi sotto il caldo getto d’acqua, per lavare via tutto. Lui, premuroso, iniziò ad insaponarmi, in modo delicato. Mi sentivo bene. Brandelli dell’orgia che avevo subito riaffioravano alla mente ma venivano lavati via dall’acqua e dal sapone. Ero inerme, come lo ero stata in mezzo a quel branco di uomini, ma in modo diverso. Il mio corpo era affidato a lui.

Mi insaponò in mezzo alle gambe.

“Vuoi perdere di nuovo il controllo?” mi chiese. Io annuii, quasi spaventata ma speranzosa. “Hai mai squirtato?” scossi la testa.

Giocò un po’ col mio clitoride, ancora sensibilissimo dopo il super uso a cui era stato sottoposto. Poi mi infilò di colpo due dita in figa ed iniziò a sfregare i polpastrelli con forza contro la parete esterna, lì dove c’è quel punto magico.

Io ero a gambe larghe, appoggiata con la schiena alla parete della doccia. Lui cominciò ad accelerare il movimento, sempre più forte, sempre più piacevole.

“Puoi squirtare solo se lasci andare il tuo orgasmo senza nessun freno, né fisico, né mentale. Puoi farcela. Stasera puoi farcela.”

Ci provai. Mi lasciai andare. Persi il controllo.

“L’ho fatto?” chiesi ansimante dopo un po’, quando riuscii a riprendermi, stesa sul pavimento della doccia.

“Io qualcosa che usciva fuori schizzando l’ho sentito.” mi rispose.

Lo guardai. Torreggiava su di me. Il getto d’acqua gli colpiva la schiena e gli schizzi arrivavano su di me. Lo vidi prendersi in mano il cazzo e scappellarselo. Poi subito dopo un fiotto caldo arrivò sul mio corpo. Mi stava pisciando addosso.

Mai, mai avrei consentito a nessuno di compiere un gesto così degradante nei miei confronti. Non avrei mai permesso una simile mancanza di rispetto. Ma quella sera sì. Quella sera io non avevo nessuno controllo e lasciavo che lui facesse di tutto con me. Mi sollevai persino, per far arrivare il getto di urina sul mio volto. Non aprii la bocca, per quello non ebbi il coraggio.

“Resta qui. Dormi con me, ti prego.” gli dissi subito dopo implorante.

Ci svegliammo il mattino dopo, nudi, nel letto. Pensai che finalmente lui mi avrebbe scopato, e invece no.

“Cosa fai oggi?” mi chiese.

“Oggi mi ero presa in giorno di ferie. Comunque sarebbe andata. E pensavo di andare a fare shopping. O per festeggiare o per risollevare il mio umore.”

“Bene. Ti ci porto io.” mi comunicò.

Non andammo nelle boutique che mi ero prefissata io, ma daltronde ormai avevo delegato a lui la mia vita di quei due giorni.

La prima tappa fu un negozio in cui io non sarei mai entrata. Un grande sexy shop dalle vetrine oscurate. Il gestore era un uomo che non ispirò fiducia, al primo sguardo.

Lui insistette per farmi provare dei completini. Provai ad obiettare, ma capii che il nostro gioco continuava se io mi abbandonavo a lui. Uscii dal camerino con tacchi altissimi e uno strano capo di lingerie fatto di tante cinghie che mi avviluppavano il corpo. Non era stato per nulla facile indossarlo. Ero praticamente nuda all’interno del sexy shop.

C’era un altro cliente. Un ragazzino brufoloso neanche ventenne.

“Ehi, amico, ti piacciono le donne più grandi di te?” gli chiese il mio partner. Lui annuì, allupato.

Mi bendò e subito dopo sentii che quattro mani esploravano il mio corpo, in tutti gli anfratti. Il mio accompagnatore commentava la scena e dalla lontananza della sua voce compresi chi erano i proprietari delle mani.

Ebbi più di un orgasmo, che cercai forse inutilmente di nascondere ai miei palpeggiatori. Sentii qualcosa di umido che mi aveva bagnato una coscia. Il ragazzo non si era contenuto.

Poi senza sbendarmi mi fece cambiare, mi mise lui addosso dell’altra lingerie, che acquistammo e poi uscimmo. Non so cosa mi avesse fatto indossare, sentivo qualcosa di duro sul mio monte di Venere.

Dopo pochi passi lo scoprii. Mi accasciai improvvisamente colta di sorpresa da una strana sensazione sul pube. Un vibrazione inaspettata. Qualcosa mi stimolava il clitoride. Lui mi guardava col suo telefono in mano mentre mi contorcevo.

“Co.. cos’è?” gli chiesi aggrappandomi a lui.

“Mutandine vibranti. Le controllo io con questo. Tu non puoi fare nulla se non godere.”

“Sì, ma non qui per strada… ti prego…”

“Perché no?”

“Perché mi possono vedere.” dissi stringendo le gambe cercando di placare il piacere.

“E allora?”

“Ti prego fermalo… fermalo… fer… ma… looooo”

Venni e caddi in ginocchio. Un orgasmo in mezzo alla pubblica via. Un orgasmo inarrestabile.

“Tutto bene, signora?” mi chiese una donna, mentre io ero seduta per terra che mi riprendevo.

“Sì, sì, non si preoccupi. Solo un calo di zuccheri.” mentii mentre provavo a rialzarmi.

“Ha bisogno di aiuto?”

“No, no. E poi c’è…” e indicai il mio compagno di avventura.

“Ah, c’è suo marito, ok, allora…”

“Sì, no, ma non è mio marito.” dissi non sapendo bene perché volevo specificarlo ad una sconosciuta.

“Ah, è…” continuò lei curiosa.

“Sono il suo amante, signora.” intervenne lui con tono beffardo porgendomi il braccio per aiutare a rialzarmi.

La donna ci guardò stupita e un po’ scandalizzata e se ne andò senza aggiungere altro. Se solo avesse saputo la verità, chissà come avrebbe reagito.

Raggiungemmo poi la mia boutique di scarpe preferita. Un marchio di lusso e costoso. Iniziai a provare una serie di scarpe col tacco, una più bella dell’altra. A servirmi c’era una commessa gentile, giovane e molto bella. Si prodigava nel propormi i vari modelli e mi aiutava nel provarli, consigliandomi.

Lui ci guardava senza dire una parola e senza esprimere giudizi, quasi indifferente, quasi annoiato. Fino a quando tirò fuori il telefono e una leggerissima e quasi impercettibile vibrazione cominciava a farsi strada tra le mie gambe.

Fu mentre la ragazza si era piegata per aiutarmi ad allacciare un sandalo particolarmente elaborato che mi arrivò la scarica intensa. Una vibrazione forte e interminabile mi sconquassò partendo dal basso ventre. Mi piegai in avanti. Aprii la bocca e chiusi gli occhi in una espressione che probabilmente poteva sembrare di dolore e sofferenza. La ragazza mi fissò inizialmente spaventata.

“Mi… mi scusi… non è nie… niente… sto… sto…”

“Si sente male?” chiese mentre io mi contorcevo.

“No… no… è…” non riuscivo a parlare e forse non sapevo neanche cosa dire. Ero tremendamente in imbarazzo ma anche per questo ancora più eccitata. Ero totalmente in balia di lui e questo mi terrorizzava ed eccitava nello stesso tempo. Lo indicai alla ragazza. Lui era lì in piedi che sorrideva e manteneva la vibrazione al massimo col telefono.

“Sta godendo. Ha un orgasmo.” commentò lui. “Ha un vibratore nelle mutande, e lo controllo io.” aggiunse mostrando la schermata del telefono con l’app per il controllo remoto.

La commessa fu sollevata dalla notizia e anche molto divertita. Mi osservò fino alle ultime scariche di piacere che attraversavano il mio corpo. Poi volle saperne di più da lui sull’effettivo funzionamento del giocattolo erotico che avevo fra le gambe.

“Se vuole usare il nostro bagno per ricomporsi.” mi offrì poco dopo. Poi quasi senza aspettare una risposta si alzò, chiuse a chiave il negozio e mise un cartello di “Torno subito” sulla porta.

“Venite.” aggiunse poi facendoci strada. Era invitato anche lui perché era evidente che l’offerta della ragazza nascondeva un secondo fine.

Dentro allo stretto bagno sul retro del negozio la commessa si inginocchiò, come era prima quando mi faceva provare le scarpe. Io ero appoggiata al lavandino con le mani.

“Lasci fare a me.” disse e infilò le mani sotto la gonna, abbassandomi le mutandine vibranti.

Immediatamente dopo la mia figa entrava in contatto con la sua prima lingua femminile. Ero fradicia e sembrò apprezzarlo. Guardai verso di lui, quasi in cerca di aiuto. Lui sorrideva beffardo.

Un altro orgasmo. Quanti ne avevo avuti da quando lo avevo incontrato? Stavolta causato dall’abilità tutta femminile dello stimolare nel modo giusto il clitoride con la lingua. Ma anche amplificato da quella situazione pazzesca, da quella situazione su cui io non avevo nessun controllo.

Lui si era avvicinato, su cenno di lei, e aveva tirato fuori il cazzo. Lei lo stava spompinando. Io mi defilai. Uscii dal bagno e tornai nel negozio, senza mutande sotto la gonna. Scelsi le scarpe che più mi piacevano mentre sentivo i rumori di una scopata provenire dal bagno.

Regalammo le mie mutandine vibranti alla ragazza che ci fece uno sconto sulle scarpe e ci volle lasciare il suo numero. La invidiai per come era stata capace in un attimo di cogliere l’occasione, di lasciarsi andare con due sconosciuti e di trasgredire.

Tornammo in hotel, misi tutte le mie cose nel trolley e poi andammo in stazione. Gli chiesi di continuare ad accompagnarmi, sentivo che stavo tornando alla mia vita normale piena di controllo e volevo godermi fino all’ultimo questi momenti. Lui per fortuna era a mia totale disposizione per questo. Non sapevo nulla di lui, ma evidentemente non aveva un lavoro che lo impegnava.

Sulla metropolitana, a quell’ora poco affollata ma non così poco da non costringerci a rimanere in piedi, lui si mise dietro di me. Io ero ancora senza mutande sotto. Ci avevo preso gusto a provare quel senso di libertà e di rischio. Mi mise il suo dito medio davanti alle labbra.

“Mettici sopra più saliva che puoi.” mi ordinò ed io presi in bocca il dito.

Poi portò la sua mano fra i nostri due corpi. Mi sollevò la gonna giusto per infilare sotto la mano. Puntò il dito contro il mio buco del culo. Io trasalii. Lui spinse e il dito entrò.

Ero lì, in mezzo alla gente e con un dito di un uomo nel culo.

“Stai godendo, vero?” mi sussurrò nell’orecchio quando sentì che il mio sfintere si stringeva e si rilassava ritmicamente attorno al suo dito.

“Stronzo.” gli risposi. Così, mi venne dal cuore.

In stazione vidi il mio treno sul tabellone. Memorizzai il binario e calcolai quanti minuti mancavano.

“Allora addio.” mi disse lui.

“No.” risposi io. “Non posso andareme così.”

“Così come?”

“Tu non mi hai ancora scopato.”

“Pazienza.” disse lui alzando le spalle. “Ho fatto molto di più.”

“Tu adesso mi scopi.”

“Va bene perdere il controllo ma non credo tu voglia diventare famosa come la donna che si è fatta scopare in pieno giorno nell’atrio della stazione.”

“No. Vieni. Ho la situazione sotto controllo.” dissi e lo presi per mano trascinandomelo dietro, insieme al trolley, e correndo verso i bagni della stazione.

Nei cessi pubblici. In quegli degli uomini, tra l’altro. Se me l’avessero detto fino a ieri li avrei presi per matti. Erano abbastanza puliti ma erano comunque bagni pubblici molto frequentati da gente di ogni tipo. Ci sentirono scopare, sicuramente, non potevano non sentirci. Qualcuno fece anche qualche battutaccia ad alta voce. Ma io non riuscii a contenermi. Il cazzo di quell’uomo che mi aveva fottuto la testa per un giorno intero mi stava scopando come se non ci saremmo mai più visti. Ed in effetti era così.

Non è del tutto corretto dire che lui mi stesse scopando. Io mi stavo facendo scopare. Io sentivo di avere il controllo della situazione. Anche mentre ero piegata a novanta, con le mani premute contro la parete di piastrelle e il culo all’indietro e il suo cazzo che me lo sfondava. Avevo il controllo eppure mi stavo lasciando andare.

Corsi fuori incrociando gli sguardi stupiti e allupati di alcuni uomini. Corsi per tutta la stazione, sui tacchi con la valigia dietro. Corsi con la gonna che si muoveva qua e là e niente sotto e diversi schizzi di sborra su per il culo. Corsi tutta spettinata e sorridente.

Non avevo mai perso un treno. Io programmavo tutto ed ero sempre in orario e avevo tutto sotto controllo. O forse invece ne avevo persi fin troppi, per lo stesso motivo.

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