Ad un aperitivo tra amici lei ha una sorpresa per lui…
Come tutti i venerdì sera di quella fine estate ci trovavamo con gli amici per un aperitivo in uno dei bar sul lungomare o nelle vicine vie del centro. C’erano già quasi tutti ma mancava ancora la mia ragazza Francesca. Lavorava lì vicino, in uno studio di avvocati, e sarebbe arrivata direttamente dal lavoro. Evidentemente qualcosa l’aveva fatta tardare.
La riconobbi da lontano che si avvicinava camminando svelta sui tacchi. Arrivò tutta trafelata, un po’ ansimante ma allegra, scusandosi per il ritardo. Salutò con baci sulle guance un paio di amiche, a voce tutti gli altri e poi venne verso di me. Aveva un’aria strana, sembrava euforica, un po’ su di giri, neanche fosse già a fine aperitivo dopo molti bicchieri.
Mi baciò con passione, in bocca, per diversi secondi. Non era il suo modo consueto di salutarmi, per lo meno non in quelle occasioni conviviali. Mentre mi baciava mi strinse anche una mano. La guardai mentre iniziava a sorseggiare il cocktail che le avevo ordinato, il suo preferito. Anche lei mi guardò con uno sguardo che cercava intesa. C’era qualcosa di strano in lei, qualcosa che mi voleva dire.
Rimanemmo uno a fianco all’altra, chiacchierando con gli amici, fino a quando Francesca, che evidentemente aveva aspettato il momento giusto, si alzò sulle punte, aderì col suo corpo al mio fianco e mi baciò sulla guancia. Sembrava un gesto normale, tra due innamorati, ma era un trucco per dirmi qualcosa di nascosto. Farfugliò delle parole. C’era confusione e non le capii.
“Eh?” le dissi girandomi verso di lei con aria interrogativa.
Lei si sollevò di nuovo sulle punte, mi prese una mano per aiutarsi e stavolta mi parlò più vicino all’orecchio.
“Mettimi una mano sotto la gonna.”
Si staccò da me e mi lanciò uno sguardo di intesa. In quel momento io mi resi conto che avevo colto le stesse parole anche prima, ma non le avevo registrate per la sorpresa. Non era una cosa che mi aspettavo, non lì davanti a tutti i nostri amici, sicuramente.
Francesca indossava una gonnellina corta e svolazzante. L’avevo apprezzata mentre l’avevo vista arrivare di fretta. Sicuramente le sue gambe avevano fatto girare diverse teste nel tragitto dallo studio al bar.
Mi guardai attorno fingendo indifferenza, così come stava facendo lei. Aspettai il momento giusto, quello in cui nessuno dei nostri amici stesse prestando attenzione a noi. Guardai anche dietro, per vedere se ci fosse qualcuno. Francesca era mezza seduta su uno sgabello alto, al mio fianco, dietro di noi avevamo una sorta di tavolo alto in cui appoggiare i bicchieri. Oltre a quello c’erano delle fioriere e poi la strada. Mi assicurai che non stesse passando nessuno e poi feci un gesto rapido.
Non indossava niente! Non aveva mutande sotto quella gonnellina. Questo mi eccitò all’istante. Era venuta all’aperitivo senza niente sotto e aveva voluto farmelo sapere subito, per provocarmi. La adoravo quando faceva cose da porca.
Ma non c’era solo questo. Le mie dita colserò una notevole umidità sulle labbra della fica. Tirai fuori la mano e mi guardai la punta delle dita, sorpreso. Erano bagnate. E sporche. Una sostanza lattiginosa, densa.
Non ebbi neanche tempo di esplorare possibili spiegazioni che non fossero quella più ovvia riguardo a che cosa fosse quella cosa che tanto somigliava a della sborra, che Francesca con un gesto ancor più rapido del mio si mise le mie dita in bocca e succhiando le ripulì ben bene.
Istintivamente ci guardammo entrambi attorno appena lei terminò il suo gesto, per assicurarci che nessuno ci avesse notato. Solo dopo la guardai negli occhi, totalmente spiazzato da tutto, dalla scoperta che sotto fosse nuda, che fosse ancora più incredibilmente sporca di sborra, che avesse voluto farmelo scoprire e che avesse leccato via la sborra dalle mie mani, lì a pochi metri dai nostri amici.
Avrei potuto arrabbiarmi per tutto quello, per quella che in fondo era una confessione di tradimento in piena regola. Ma l’espressione di Francesca era così contenta ed euforica che capii che era tutto soltanto un gioco erotico tra noi. E io l’adoravo quando mi sorprendeva con le sue idee da porca.
Il mio cazzo, sotto nei pantaloni, mi faceva quasi male per quanto era costretto a rimanere compresso a dispetto della sua voglia di ergersi, di uscire e di fottere appena possibile la mia ragazza perversa.
“Ma… ma…” balbettai verso di lei riacquistando un po’ di lucidità ma non sufficiente ad esprimere un concetto a parole.
Lei sollevo le spalle, sorridendo. Come se tutto fosse quasi normale.
Cercai le parole per porre la giusta domanda, che mi spiegasse cosa era successo, come le era venuto in mente, cosa avesse fatto e con chi e, insomma, volevo sapere tutto. Ma fummo interrotti da una nostra amica che ci passò davanti col suo bicchiere in mano e si fermò a chiacchierare.
Da quel momento in avanti e per tutto il tempo dell’aperitivo non trovammo più un momento per parlare da soli fra noi. Fummo inglobati nei discorsi e negli scherzi fra amici. I bicchieri si sommarono e la serata prese una piega diversa. Non dico che mi dimenticai di quello che era appena successo, ma mi rassegnai al fatto che avrei dovuto aspettare per saperne di più. Anche il mio cazzo si rassegnò e si sgonfiò, tranne nei momenti in cui, anche solo con la coda dell’occhio, coglievo un movimento di Francesca, un leggero svolazzare della sua gonna e allora pensavo che sotto era nuda, che sotto era sporca, che qualcuno poteva notarlo, che qualcuno l’aveva da poco scopata e tutto era folle e mi perdevo nei pensieri e gli amici attorno a me mi chiedevano che avessi che ero così distratto.
Nell’andare verso casa, lungo le vie acciottolate e in pendenza, Francesca dovette aggrapparsi a me. Non era facile camminare sui tacchi dopo tutto quell’alcool che aveva assunto, senza aver mangiato molto. Non che io fossi molto più in me, diciamo che ci sorreggevamo un po’ a vicenda.
“Tu mi devi spiegare.” le dissi.
“Che cosa?” rispose lei facendo la finta ingenua. Le piaceva fare così. Spesso dopo qualche porcata lei recitava la parte dell’innocente fanciulla. Mi faceva impazzire e lei lo sapeva bene.
“Cosa hai fatto prima di arrivare all’aperitivo?”
“Nulla… ero a lavoro, ho fatto un po’ tardi.”
“E… e come lo spieghi quello che avevi sotto la gonna?”
“Cosa avevo sotto la gonna?” nel dire quello si fermò e con tutta naturalezza se la sollevò, lì in mezzo alla strada mostrando a chiunque stesse passando il pelo.
Io mi guardai attorno allarmato. Per fortuna pensai che nessuno in quel momento avesse potuto notarla. Lei scoppiò a ridere.
“Non ho niente sotto la gonna!” disse con aria divertita quasi fingendo di scoprirlo in quel momento.
“Qualcosa avevi…” dissi io con voce fintamente alterata.
“Cosa?”
“Eri sporca…”
“Sporca?”
“Sì, di sborra.”
Francesca continuando la sua recita fece la bocca a O coprendosela con una mano, simulando di essere scandalizzata.
Io da un certo punto di vista persi la pazienza. Non in senso cattivo, semplicemente non resistevo più: volevo sapere. La presi per mano e la tirai dietro di me entrando in un portone buio. Non potevo aspettare di arrivare a casa.
La sbattei contro il muro. Una mano era sul collo, sotto al mento. L’altra era fra le sue gambe. Iniziai a masturbarla mentre le sibilavo ordini nelle orecchie.
“Adesso tu mi dici che cazzo hai fatto prima di venire all’aperitivo! Mi dici da chi…” deglutii. “da chi ti sei fatta scopare, di chi era la sborra che hai leccato via dalle mie dita.”
Francesca mugolò. Le mie dita stavano facendo effetto insieme probabilmente a tutta la situazione in quell’androne buio di un palazzo sconosciuto del centro. Ma non mi rispose. Disse alcunì sì, in reazione ai movimenti delle mie dita, e alcuni no, in risposta alle mie insistenze nel voler sapere.
Era vicina all’orgasmo, forse era anche già iniziato, non sono mai riuscito a capire bene quando Francesca iniziasse veramente a godere in mancanza di un segno inequivocabile come quello di noi maschi, ma mi dovetti improvvisamente fermare. Sentimmo arrivare da dentro al palazzo dei passi e delle voci. Una famigliola ci passò a fianco, uscendo per strada. Anche noi fingemmo di dover uscire.
Francesca mi precedeva di qualche passo. Sculettava provocante facendo saltellare i bordi della sua gonna rischiando di mostrare più di quel che poteva.
“Allora? Non me lo dici?” provai a insistere.
“No.” mi disse girandosi e guardandomi con aria diabolica. “Arrivaci da solo.”
Mi fermai in mezzo alla strada mentre lei proseguiva avanti. Riflettei sulle sue parole. Era al lavoro. Veniva dal lavoro. Non poteva che essersi fatta scopare lì. Ma da chi? Se mi aveva detto di arrivarci da solo voleva dire che potevo sapere chi l’aveva scopata e quindi…
La raggiunsi correndo per recuperare il vantaggio che aveva preso. Eravamo sotto casa. Entrammo nell’androne del vecchio palazzo in cui abitavamo. Era molto simile a quello in cui ci eravamo fermati prima e io non avevo la pazienza di arrivare fin sopra, all’ultimo piano, nel nostro appartamento.
La spinsi contro il muro. Stavolta con la faccia contro il muro. Le sollevai la gonna e la sculacciai.
“Sei una troia.” le dissi.
“Sì.” ammise lei compiaciuta.
“Da lui ti sei fatta scopare? Di nuovo?”
“Sono una troia, l’hai detto.” mi rispose spingendo meglio in fuori il culetto che venne colpito dalla mia mano aperta.
“Puttana…” mormorai mentre mi slacciavo i pantaloni.
“Zoccola…” bofonchiai mentre li facevo scendere alle ginocchia e mi posizionavo dietro di lei.
L’urletto che emise Francesca mentre il mio cazzo entrava nella sua fica umida e sporca penso risuonò lungo la tromba delle scale del palazzo. Io continuai a insultarla con epiteti che ne descrivevano la moralità ma che tra noi erano manifestazioni di affetto. E intanto la scopavo con foga, volendo al più presto venire per ristabilire chi avesse più diritto di inondarle la fica di sborra.
“Te lo sei fatto anche mettere nel culo, troia? All’aperitivo avevi anche il culo pieno di sborra? Se ti avessi infilato un dito dietro mi avresti leccato anche quello per pulirlo davanti a tutti?”
Francesca girò la testa e mi guardò con aria maliziosa. Aveva le mani appoggiate al muro e il corpo pressato tra il mio e la parete stessa.
“Prova a capirlo da solo…” mi rispose. “Infilami il tuo e senti se il mio culetto ti sembra ancora morbido…”
Avrei voluto provare a dare una risposta attraverso il mio cazzo. O meglio avrei voluto confermare tramite le sensazioni fisiche quella che avevo già intuito essere la risposta giusta. Ma fu proprio questa convinzione a giocarmi un brutto scherzo: il mio cazzo iniziò a schizzare sulle chiappe di Francesca, che iniziò a ridere.
Appena dopo dovetti ricompormi in fretta e furia, riallacciandomi come potevo i pantaloni. Qualcuno stava scendendo le scale.
Salutammo il signor Russo, l’inquilino del primo piano, che ci fermò per lamentarsi per l’ennesima volta degli studenti che abitavano sopra di lui. Lo congedammo dandogli ragione e proseguimmo salendo verso casa.
Nel fare i gradini Francesca più volte si sollevò la gonna per mostrare a me, che le ero dietro, il suo culo tutto sborrato. Arrivati alla porta di casa ero già di nuovo duro.
“Adesso mi racconti tutto per bene.” le dissi mentre entravamo dandole una pacca sul culo.
“No, no.” mi rispose lei ridacchiando e facendomi segno col dito, subito prima di correre verso il bagno.
“Sei una troia e ti amo…” le urlai dietro.