Una normale giornata di lavoro di una donna in carriera. Forse non tanto normale.
Rientro in ufficio dopo la pausa pranzo. Attraverso i corridoi, saluto alcuni dei miei dipendenti. Cammino e ancheggio nel mio solito modo deciso sui tacchi, qualcuno lo troverebbe sicuramente un incedere sensuale, soprattutto se osservato da dietro. Indosso i miei consueti abiti da donna in carriera, tacchi alti eleganti, calze con la riga dietro, gonna aderente sopra al ginocchio, camicia e giacca.
Eppure mi sento un po’ nuda mentre mi dirigo verso il mio ufficio dirigenziale. In effetti in parte lo sono. Sotto la gonna infatti non indosso più le mutandine, peraltro già striminzite, con le quali ero uscita da casa stamattina. Carlos è stato un po’ troppo irruente poco fa e le ha strappate per sfilarmele poco fa, nel bagno del bar dove lavora.
Sono andata lì a mangiare, come faccio quasi sempre. Ho scambiato con lui le solite occhiate di intesa. Sono mesi ormai che lo faccio. Ho aspettato che lui fosse un po’ più libero dal servire i clienti. Mi sono accorta che il suo titolare osservava le sue mosse. Poi gli ha dato l’assenso ad assentarsi qualche minuto, quelli che servono. Non mi lamento del fatto che le nostre sono sempre delle sveltine, è anche il loro bello. Mi piace come lui scarica la sua voglia in un attimo su di me. Io stessa, dopo averla accumulata, non ho bisogno di molto per sfogarla.
Il suo capo non è molto contento del fatto che lui si prenda queste pause in un momento in cui il bar pullula di clienti. Lo ha beccato subito, fin dai primi giorni, e gli ha detto che doveva smettere. Io per un momento ho ringraziato di questa intromissione, così la smettevo di compiere questi gesti, ma poi non ce l’ho fatta. L’ho pregato di convincere il titolare. Lui ci ha provato, senza successo. Ma una soluzione c’era, suggerita dal titolare, e mi coinvolgeva.
Una volta alla settimana quando vado nel bagno del locale e di soppiatto mi infilo in quello riservato ai dipendenti a raggiungermi non è Carlos, il bel cameriere giovane dalla pelle color cioccolato, ma è Sergio, il suo titolare, più vecchio anche di me e decisamente meno affascinante, ma non per questo gli amplessi clandestini con lui si rivelano meno eccitanti, anche se non lo ammetterò mai pubblicamente. Mi fingo contrariata per il fatto di doverlo fare con Sergio. Non ha il bel corpo e il cazzo durissimo di Carlos, non ha il suo vigore nel possedermi, la sua foga giovanile e la sua impudenza nello prendermi spesso per la via più stretta e proibita. Con Sergio devo semplicemente inginocchiarmi, slacciargli i pantaloni e succhiargli il cazzo fino a farlo venire. È molto umiliante, è il prezzo da pagare perché lasci libero il suo dipendente di accoppiarsi con me nel bagno del locale. Ma proprio per questo inzuppo sempre le mutande mentre glielo succhio. Una come me, una con la mia posizione, che si abbassa a fare un pompino ogni settimana in un bagno pubblico.
Gli altri giorni, però, passo cinque minuti intensi nelle braccia muscoloso di Carlos. Mi solleva, mi gira, mi prende come vuole. A volte mi tiene sotto le ascelle e mi fa andare su e giù sul suo cazzo. Altre volte mi spinge contro il muro e mi prende da dietro. Altre volte vuole soltanto un pompino anche lui, per poi venirmi in bocca e farmi tornare in ufficio con quel retrogusto peccaminoso sul palato.
Oggi aveva fretta di godere. Mi ha messo con le mani sul muro e il culo all’indietro. Ha sollevato con un po’ di fatica la mia gonna, quasi mi strappava anche quella, e sarebbe stato un problema. Ha visto come mi ero vestita per lui, perché era l’unico che avrebbe visto cosa avevo sotto: un reggicalze e un perizoma coordinati. Preso dall’entusiasmo ha afferrato il cordino del perizoma e l’ha tirato in basso. Si è sentito uno strappo e l’elastico si è rotto. È finito ai miei piedi ma nessuno di noi due ci ha fatto caso. Neanche io, ero troppo impaziente di sentire la punta del suo grosso uccello appoggiarsi tra le mie labbra. E invece no, l’ha appoggiato un po’ più su.
Non ho fatto neanche in tempo a dirgli di andarci piano che ha cominciato a spingere. Mi ha fatto un po’ male, ma è quel male a cui sono abituata e che si trasforma presto in piacere. Ormai ho imparato a rilassarmi bene in modo da non opporre resistenza e lasciare che il mio sfintere anale si allarghi per accoglierlo. Inculata nel bagno del bar, in pausa pranzo sotto al mio ufficio.
L’altra condizione che ci ha posto il suo capo è di non farci sentire troppo, ma lui la fa facile, vorrei vederlo che riesce a non urlare di piacere con il cazzo di Carlos nel culo. Non sarebbe male come scena, se lo meriterebbe quello stronzo, così impara a non lasciare libero il suo cameriere. Ma in realtà no, chi prendo in giro, è così bello farsi sodomizzare da lui che non sarebbe neanche per lui una punizione. Per fortuna ci pensa Carlos, come sempre, e mi tappa la bocca con la sua grossa mano, così posso urlare e godere senza problemi.
Quando mi siedo alla scrivania del mio ufficio ho un timore: spero che dal mio culo non fuoriesca la sborra con cui sono stata riempita, andrei a macchiare la gonna. Mi sono pulita con delle salviette prima di uscire dal bagno del bar ma forse non ho ancora il pieno controllo dell’ano, che sento bruciare, e potrei rilasciare qualche goccia. Allora mi sollevo la gonna e mi siedo in punta alla sedia. Prendo un fazzolettino e me lo passo sul buco del culo, poi lo guardo: mi sembra pulito, neanche un po’ umido. Perfetto. Allora mi tocco anche con la punta del dito. Povero il mio buchetto… ha fatto gli straordinari oggi. Lo sfioro e già mi eccito. Mi tocco e col pollice vado invece sul clitoride. Oddio sto per avere un altro orgasmo.
Bussano alla porta. Mi ricompongo. La segretaria fa capolino dalla porta. Mi chiede se è tutto a posto, probabilmente mi vede un po’ stravolta. Le dico che è solo che sono tornata di corsa in ufficio e sono un po’ affannata. Mi informa che il primo appuntamento del pomeriggio è qui. Le dico di farlo entrare fra dieci minuti.
È un ragazzo giovane, anche più di Carlos. Ah, già, i colloqui per assumere un nuovo amministrativo. È carino questo ragazzo. Non sarebbe male assumerlo. Mi perdo nei suoi occhi azzurri mentre lui, un po’ titubante, cerca di fare una buona impressione parlando dei suoi studi e delle poche esperienze lavorative. Non lo sto ascoltando molto. Sono distratta. Sto pensando ad altro e più precisamente all’idea di alzarmi, di girare attorno alla scrivania, mettermi davanti a lui, alzarmi la gonna e sbattergli in faccia la mia fica fresca di estetista. Poi gli metterei una mano sulla testa e gliela spingerei tra le mie gambe per farmela leccare. Se è bravo a mangiare la fica è assunto. Ho una risata nervosa a questo pensiero, anche per dissimulare un principio di orgasmo. Cazzo, oggi Carlos, non mi ha tolto la voglia, me l’ha solo amplificata. Quasi quasi al termine della giornata ripasso dal bar, magari lo trovo ancora lì, ma quasi sicuramente no. Stacca prima perché poi si va ad allenare. Troverei solo Sergio. Potrei fare un pompino a lui, sarebbe già qualcosa per non tornare a casa totalmente fuori giri per la lussuria. Magari è la volta che mi faccio scopare anche da lui.
Il ragazzo mi sta guardando in modo strano. Ha finito di parlare, sta aspettando che io gli faccia un domanda. Mi ridesto dai miei pensieri. Non ho idea di cosa abbia detto finora, però lo terrò in considerazione, anche solo per la sua bella faccia. Magari mi faccio un amante interno all’ufficio. No, non è il caso. Mi alzo e lo congedo. Ci stringiamo la mano, ha una bella stretta decisa, delle belle mani. Credo mi saprebbe far godere con quelle dita. Vorrei mettermi a pecora sulla scrivania e lasciargli esplorare il mio corpo.
Cazzo ho oggi? Non riesco a lavorare. Sto pensando solo al sesso. Se i miei dipendenti si immaginassero cosa passa per la testa della loro capa. Molti sarebbero ben contenti di accontentarmi, ma altri sarebbero scandalizzati.
Non era l’unico colloquio della giornata. C’è anche una ragazza. Anche di lei non riesco ad ascoltare molto quello che dice, mi perdo nei suoi lineamenti, nei suoi lunghi capelli ramati. Da quando ho voglie anche nei confronti delle donne? Non lo so ma lei me la farei. Sono tentata di farle notare che sotto non indosso più le mutande. Accavallo le gambe e se lei guardasse sotto alla scrivania forse lo intuirebbe. Invece mi guarda negli occhi e mi scioglie. Forse dovevo farlo col ragazzo questo giochino. Lui aveva più lo sguardo basso.
Dovrò richiamarli questi due ragazzi, un giorno che sono meno allupata. Dovrò ascoltarli per sciegliere il migliore dei due. Oppure li prendo entrambi. E li faccio lavorare con me. In tre. Io e loro due. Sto immaginando configurazioni oscene fra noi. Non so cosa mi è preso oggi.
Alle 18 l’ufficio si svuota. La segretaria mi viene a salutare. Le dico, mentendo, di avere delle cose da finire e le dico di chiudere la porta esterna dell’ufficio se è l’ultima ad andare. Finalmente sola. Mi spoglio. Resto con i tacchi, le calze con la riga sostenute dal reggicalze e nient’altro. E giro per gli uffici. È eccitante essere nuda in quegli ambienti normalmente dediti ad altre attività. Sto sbrodolando.
Entro nella sala riunioni, quella col grande tavolo lungo al centro. Salgo sul tavolo, a gattoni. Mi piego lasciando il culo verso l’alto e in direzione del punto dove l’amministratore del gruppo ha esposto i risultati di quest’anno nell’ultima riunione fra dirigenti. Cosa penserebbero a vedermi così. E chissà se qualcuno da fuori, da qualche palazzo di fronte sta guardando dentro e mi vede. Sarebbe molto eccitante se qualcuno mi vedesse così porca, così esposta. Mi sposto sempre avanzando a gattoni e arrivo fino a quello strano soprammobile di ceramica che adorna il tavolo della sala riunioni. Lo prendo in mano. È grosso, è largo, però… forse… Ci provo. Lo appoggiò tra le labbra della fica e provo a sedermici sopra. È freddo ed è veramente troppo largo. Però è sufficiente infilarlo un po’ per causarmi delle scariche di piacere. Il mio clitoride è compresso dall’interno e ne gioisce. Lo lascio così, tutto umido dei miei umori. Si asciugherà ora di domani. Al massimo gli resterà sopra un buon profumo.
Torno a casa. Di solito prendo la metro ma stasera non posso andarmene tanto in giro così arrapata e senza mutande. Prendo un taxi. Durante il viaggio, mentre il tassista ignaro ascolta le notizie al giornaleradio io mi tocco nella penombra dei sedili posteriori. Ho un leggero orgasmo prima di arrivare a casa.
Entro in casa. Quell’angelo di mio marito ha già preparato la cena. Mi cambio. Indosso la tuta da casa. Forse finalmente riuscirò a placare le voglie che mi attanagliano da questa mattina. Ma forse non del tutto. Credo che staserà avrò voglia persino di scopare con mio marito. Beato lui.