…di nuove pratiche
Subito dopo la laurea avevo iniziato la pratica presso un importante studio di avvocati. Mi trovavo bene, mi trattavano bene e l’avvocato che mi aveva preso sotto la sua supervisione mi coinvolgeva nel suo lavoro in modo che imparassi, una cosa che, a sentire da altri miei ex compagni di corso, era piuttosto rara. Per questo e altri motivi avevo presto sviluppato una sorta di venerazione per il mio capo. Si chiamava Giorgio ed era un quarantenne non di bell’aspetto ma aveva un gran fascino dovuto ai suoi modi di fare, alla capacità affabulatoria e al suo modo di parlare.
Dopo pochi mesi dal mio inizio, un giorno, mi convocò nel suo studio.
“Allora, Martina, volevo parlarti del tuo inizio qui da noi. Sono molto soddisfatto. Sei una ragazza intelligente, preparata, che si impegna e che dimostra di apprendere molto in fretta. Il tuo aiuto, seppur ancora limitato, è molto prezioso. Ti chiedo di continuare così e diventerai ben presto un componente a tutti gli effetti del nostro studio. C’è solo un appunto che ti devo fare.”
“Grazie. Dimmi. Sono pronta a migliorare qualsiasi mia mancanza.”
“La questione è questa, tu sei una ragazza molto bella e questo, a dispetto di quel che si dice, è inevitabile che abbia delle conseguenze, anche nella vita lavorativa. Il tuo aspetto ti aiuta, soprattutto perché dimostri di non avere solo quello. Vedo come ti guardano i clienti, li affascini e questo li predispone bene nei tuoi confronti. Ma c’è una cosa che purtroppo devi migliorare: il tuo vestiario. Intendiamoci, vesti bene, elegante e in modo appropriato, solo che, sai, i nostri clienti sono tutti di un certo livello e certe cose le notano. Si vede che i tuoi vestiti non sono di elevata qualità ma sono, immagino, comprati nelle catene a basso costo.”
“Eh, sì, ma…” ci rimasi un po’ male per quell’appunto e non sapevo bene come rispondere.
“Lasciami finire. Ti sto dicendo questa cosa ma sono anche ben consapevole della tua situazione. Noi ti paghiamo ancora poco, tu hai appena iniziato, gli affitti in questa città sappiamo come sono e quindi immagino che la tua sia una necessità, non una scelta.”
“Eh, sì…” alzai le spalle.
“Però anche noi come studio abbiamo questa necessità. La nostra immagine è importante e proprio perché intendo coinvolgerti sempre di più, bisogna che ti adegui.”
“Ok, ma… faccio un po’ fatica a…”
“Non ti preoccupare. Ho una proposta da farti. Te li pago io. Io non ho problemi di soldi. Lo considero un investimento su di te.”
“Ma… ma… grazie… è veramente… troppo.” risposi incredula.
“Non ringraziarmi. Come detto non è che sia un regalo, ma una spesa che secondo me verrà ripagata. Non sottovalutare il fatto che impressionare un cliente anche sul lato estetico non porti i suoi frutti.”
“Se lo dici tu…”
“Certo. So quello che dico. Bene, allora se ti va andremo insieme nei negozi che dico io e ti aiuterò a scegliere le tue nuove uniformi da lavoro.”
“Grazie, grazie, Giorgio, sei fantastico. Temevo un rimprovero e invece ci guadagno degli abiti.”
Ridemmo insieme delle cosa.
Pochi giorni dopo quella conversazione mi richiamò dentro al suo ufficio, dopo che se ne erano andati dei clienti con cui avevamo fatto una riunione.
“Hai notato come ti guardavano?”
“Be’, un po’ sì.” risposi ammettendo che avevo notato che spesso i loro sguardi, soprattutto dell’uomo più giovane, indugiavano su di me.
“Per carità, quei pantaloni e quella camicia ti stanno benissimo, la tua bellezza si nota, ma immagina come sarebbe se fossi vestita anche solo come la nostra segretaria. Tu devi sfruttare di più questo tuo punto di forza.”
“Se lo dici tu.”
“Sì, lo dico. Avresti dovuto vedere come si sono girati per guardarti uscire. E se fossi stata vestita come dico io…”
“Ma non rischio che poi mi prendano meno sul serio?”
“Non se ti vesti come dico io. Sarai molto professionale, ma elegante. Darai l’impressione di essere già un’avvocata importante. Fidati che ne ho di esperienza.”
“Ok.”
Fu strano uscire col proprio capo e andare a fare shopping come se fosse il mio fidanzato. Anzi molto meglio visto che il mio fidanzato raramente voleva venire e non collaborava. In quel caso invece, addirittura, fu lui a scegliere le boutique del centro in cui andare e a consigliarmi cosa provare.
La cosa mi divertì e mi piacque molto provarmi tanti vestiti che non avrei potuto permettermi. Alla fine la spesa che fece fu sicuramente più elevata di quello che avevo io speso fino a quel momento per tutti i vestiti che possedevo.
In particolare le paia di scarpe furono notevoli dal punto di vista della spesa e della qualità. Tutte scarpe col tacco, elegantissime e di marche famose. Tacchi a stiletto ma quasi comodi da portare, che slanciavano la mia figura e le mie gambe. Mi vidi bellissima negli specchi dei negozi.
Anche i vestiti, di stilisti rinomati, erano tutti eleganti, ricercati, di ottima qualità e che mi davano un aspetto effettivamente molto professionale. Anche se, sia nelle scarpe che nei vestiti, c’era sempre un qualcosa, un dettaglio, un abbinamento che faceva slittare il tutto al limite del provocante e del sexy.
Mi fece comprare calze con la riga dietro, che io avrei pensato di mettere soltanto per serate importanti. Oppure gonne sopra al ginocchio che però rivelavano uno spacco audace. O anche solo tailleur ma con pantaloni ben aderenti sulle mie forme o che abbinati a certe scarpe mi davano un’aria da predatrice sessuale.
Lui commentò i miei look, davanti alle commesse collaborative, senza farsi troppi scrupoli. Furono molti i complimenti, anche espliciti. Elogiò ad esempio come veniva messo ben in risalto il mio culo oppure quanto fossero sexy le mie gambe o come certi maglioncini valorizzassero il mio seno.
Mi eccitai nel mettermi così in mostra per lui, lo devo ammettere. E nel vedermi così bella.
E forse, anche, nell’immaginare che lui non fosse il mio capo sul lavoro, ma il mio uomo che mi voleva sexy per lui.
Iniziai ad andare in studio abbinando in vari modi tutti i nuovi acquisti e successe una cosa strana. Mi sentii come se fossi salita di livello, come se fossi già avvocato. Mi sentivo più brava, più competente e tutto solo perché ero vestita meglio, perché ero più bella.
La mia autostima era salita, mi sentivo più sicura di me. Mi sentivo anche più osservata e giudicata ma ero convinta che fossero tutti sguardi di ammirazione o al massimo di invidia, non certo di commiserazione.
Mi sentivo potente. Mi sentivo all’altezza degli altri, non solo professionalmente ma anche di fronte ad uno sguardo un po’ lascivo di un qualche uomo sapevo che ero al suo livello anche su quello. Avrei potuto sedurlo, avrei potuto indurlo più facilmente a fare ciò che volevo.
Anche lo sguardo di Giorgio cambiò. Avevo notato fin da subito che gli piacevo fisicamente, che mi guardava volentieri, diciamo così. Ma quando vide il frutto dei suoi regali colsi in lui una nuova consapevolezza, come se avesse avuto la conferma che ero proprio una femmina che gli piaceva. C’era una sottile tensione sessuale durante i nostri incontri di lavoro, anche con clienti presenti.
Tutto quel mio nuovo modo di essere lo tenni per lo più nascosto al mio ragazzo. Quei vestiti li indossavo solo al lavoro e non vivendo insieme non gli dissi neanche che mi era stato regalato tutto un nuovo guardaroba. Avevo paura che si facesse strane idee se gli dicevo che il mio capo mi regalava vestiti e scarpe. Chi non se la sarebbe fatta?
L’unica cosa di cui forse si accorse il mio fidanzato fu una mia maggiore voglia di scopare, dovuta al fatto che mi rendevo conto che spesso tornavo a casa dal lavoro con una eccitazione latente che era durata tutta la giornata. Mi eccitavo perché mi guardavano e perché mi sentivo desiderata. E quella sensazione era un ulteriore motivo per non svelargli il motivo.
Dopo qualche mese ero ormai entrata nella nuova me, chic e spavalda. Con Giorgio avevo fatto un altro giro per negozi per acquistare abiti più adatti alla stagione estiva. I clienti cominciavano a conoscermi e a chiedere espressamente di me. Di alcuni mi rendevo conto che erano affascinati da me e pendevano dalle mie labbra e trovavano ogni scusa per venire in studio.
Col mio capo le allusioni e la tensione sessuali erano aumentate. Ogni volta che uscivo dal suo ufficio indugiavo e sculettavo per lasciargli guardare il culo, spesso girandomi sulla porta e sorridendogli. Altre volte giocavo con le scarpe, lasciandole dondolare e scoprendo il piede quando erano in sua vista. Ma non andavamo oltre. Lui sapeva che ero fidanzata. Tra noi era solo un gioco di provocazioni.
Poi un giorno capitò una cosa che mi fece fare un passo in avanti nella direzione della trasformazione che stavo avendo.
Era tarda primavera, quasi tutti in ufficio erano partiti per un ponte di giorni festivi ed era tardo pomeriggio, i pochi che erano ancora in città come me erano già tutti usciti. Per la prima volta mi trovavo nello studio completamente sola. Quel giorno indossavo delle décolleté di vernice nera, delle calze autoreggenti, un gonna al ginocchio e una camicetta.
Stavo per finire di compilare un documento e poi sarei potuta andare a casa. Per farlo mi serviva consultare una cosa che era nell’ufficio di Giorgio. Ci andai, camminando sui tacchi per le stanze vuote. I miei passi rimbombavano. Dentro l’ufficio mi sedetti sulla sua poltrona. E in quel momento mi venne un pensiero strano. Mi sollevai la gonna e mi toccai da sopra alle mutandine. Poi me le sfilai. Mi stavo masturbando seduta sulla poltrona in pelle del mio capo. Poi mi slacciai la gonna. E i bottoni della camicia, che cadde a terra. E il reggiseno.
Ero nuda, completamente eccetto calze e scarpe. Ero super eccitata. Pensavo se fosse rientrato in quel momento e mi avesse trovato così. Era impossibile. Era in montagna con la moglie e i figli. E se fosse arrivato qualcun altro. Abbastanza improbabile anche quello. Erano usciti tutti.
Forse potevo osare. Tornai alla mia scrivania senza rivestirmi, anzi lasciando proprio i vestiti nell’ufficio di lui. Camminai con fare sicuro sui tacchi, ma a metà strada dovetti appoggiarmi ad un mobile. Le gambe mi cedevano per l’eccitazione. Gocce di umori scendevano lungo l’interno-coscia. Mi accasciai e mi masturbai, raggiungendo un orgasmo.
Conclusi il mio lavoro, alla mia scrivania, nuda. Poi mi aggirai per lo studio. Passai davanti a diverse finestre. Dal palazzo di fronte potevano anche vedermi. Tornai a prendere i vestiti nell’ufficio di Giorgio, ma prima di rivestirmi mi provocai un altro orgasmo seduta sulla sua poltrona.
Nella mia testa si era creato un circolo vizioso. Vizio nel vero senso della parola. Indossavo gli abiti eleganti da lavoro e cominciavo a sentirmi bella, potente ed eccitata. Restavo così tutto il giorno, mi esibivo davanti a Giorgio, agli altri dell’ufficio ed ad eventuali clienti e non vedevo l’ora di tornare nella casa che condividevo con alcune coinquiline, chiudermi nella mia stanza e masturbarmi. A volte poi mi vedevo col mio ragazzo e ci scopavo, ma spesso mi capitava di pensare di essere ancora in ufficio a farlo e a volte nei miei pensieri non era il mio ragazzo che mi scopava.
Con questi pensieri a volte mi capitava di osare qualcosa. Un giorno ero in riunione con un cliente e Giorgio. L’uomo continuava a guardarmi le gambe, che io accavallavo con sensualità studiata. Ero seduta di lato, che prendevo appunti, mentre i due uomini erano ai due lati della scrivania.
Facemmo una pausa ed io uscii per andare in bagno. Mi venne una idea fulminante e un po’ pazza. Mi tolsi le mutandine e tornai in ufficio senza. La mia fica era così all’aria, ovviamente nascosta dalla gonna, ma mi piaceva pensare che emanasse un afrore tale da eccitare i due uomini inconsapevoli. Mi divertii ad accavallare le gambe pensando che potessero scorgere qualcosa. Mi sentivo Sharon Stone in Basic Instinct.
L’incontro finì. Congedammo il cliente e io feci per uscire. Giorgio mi fermò.
“Aspetta. Voglio dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Mi sono accorto di cosa hai fatto.”
“Cosa?”
“Sotto la gonna.”
“Cosa?” ripetei cercando di restare calma e sperando di non arrossire troppo.
“Lo sai cosa hai fatto. Mi ha divertito. Certo, se se ne accorgeva il cliente mi sa che avresti avuto un infarto sulla coscienza.”
“Co… come hai fatto?” chiesi ammettendo implicitamente che era vero.
“Ti conosco. Ho notato il tuo atteggiamento. E poi ho visto che sul tessuto della gonna non si vedeva più il segno dell’intimo.”
“Ma… ma…” balbettai incredula.
“Vuoi forse dirmi che non è vero?” mi provocò lui.
Rimasi pietrificata e con la faccia che avvampava di calore. Mi vergognavo ma provavo un sottile piacere nell’essere stata scoperta.
“Fammi vedere… se vuoi dimostrarmi che sbaglio…”
Rimasi alcuni istanti in piedi davanti a lui, immobile. Sentivo il desiderio di fargli vedere che aveva ragione. Iniziai molto lentamente a far salire la gonna lungo le cosce. Sempre più.
“Vedo il pelo. Avevo ragione.” disse lui con molta tranquillità appena il mio pube cominciò ad intravedersi. Poi distolse lo sguardo, come se fosse soddisfatto così. Io quasi ci rimasi male che non mi chiese di continuare e me ne andai in totale imbarazzo.
Stavamo discutendo il caso di un cliente. Giorgio mi elencò una serie di accertamenti che avrei dovuto fare sulla documentazione. Mi segnai tutto. Stavo per andarmene quando lui, cambiando tono, disse:
“Sai che hai fatto colpo su di lui?”
Il cliente era un uomo verso i sessanta. Molto ricco ma un po’ volgare. Non di bell’aspetto.
“Ah sì?” dissi io poco interessata all’argomento.
“Sì. Me lo ha detto esplicitamente.”
“Ah, e cosa ha detto?” la mia curiosità si era destata.
“Mi ha detto che ho una assistente che è una gran fregna.”
“Non sono la tua assistente.”
“Sì, lo sei, ancora per un po’. Ma non è questo il punto.”
“No?”
“No. Mi ha chiesto cose di te. Mi ha detto che idee gli ispiravi.”
“Forse è meglio che non le sappia queste cose, se dobbiamo lavorare per lui.”
“Forse hai ragione. Comunque riguardava il tuo viso, che lui si immaginava meno pulito di come è.”
“In pratica me l’hai detto. Potevi evitare.”
“Forse potevo evitare anche un’altra cosa.”
“Cosa?” chiesi un po’ allarmata.
“Di rispondere in un certo modo ad alcune sue domande.”
“Cioè?”
“Mi ha chiesto: ma tu te la bombi, vero?“
“E cosa hai risposto?” chiesi cominciando a temere la risposta.
“Sai, ho capito che per avere a che fare con uno come lui, per fare in modo di conquistarlo come cliente, dovevo assecondarlo, accontentarlo, come sempre. E quindi ho risposto di sì.”
“Stronzo.” mi uscì spontaneo, non ero mai stata così impudente col mio capo.
“E lui ha voluto sapere i dettagli. Ha voluto sapere se ti bombavo qui sulla scrivania.”
“E tu?”
“Gli ho detto di sì. Poi ha voluto sapere un’ultima cosa.”
“Non voglio sapere.”
“Te la dico lo stesso. Devi sapere la versione che ho raccontato al cliente, non si sa mai.”
“Tu sei impazzito.” risposi scontrosa ma in realtà una parte di me era incuriosita e persino divertita e forse orgogliosa.
“Mi ha chiesto se quando ti bombavo sulla scrivania ti facevo anche il magnifico culo che hai.”
Lo guardai in silenzio mentre dentro di me si agitavano emozioni indistinte.
“Vuoi sapere cosa gli ho risposto?”
“Lo immagino.” risposi freddamente.
Lui si alzò e venne a dirmelo nell’orecchio, con voce bassa.
“Gli ho detto che ti bombo solo ed esclusivamente il culo… perché la fica è del tuo fidanzatino, mentre il culetto è per l’amante.”
Corsi fuori per non mostrargli l’imbarazzo che mi aveva dipinto di rosso il viso. Fuori dalla porta mi fermai, ansimante, mentre scariche di piacere caldo salivano dal basso ventre.
Passarono mesi da quell’episodio. A quel cliente procurammo un discreto risultato tramite un accordo stragiudiziale e quindi venne in studio, per saldare l’onorario e per ringraziarci.
Dopo i convenevoli si attardò a chiacchierare con Giorgio di argomenti vari. Io salutai ed uscii, avevo del lavoro da fare. Lo sguardo che mi lanciò quando uscii però quasi mi sciolse. Era uno sguardo pieno di lussuria e desiderio. Mi voleva fisicamente quell’uomo, si vedeva. Sentii il peso del suo sguardo sul culo, mentre uscivo.
Mi ero eccitata. Mi erano tornati in mente quei discorsi, quella tensione sessuale con Giorgio. Ed erano mesi che mi bastava un niente per eccitarmi. Erano mesi che mi masturbavo ogni volta che potevo, mentre col mio fidanzato, per un motivo o per l’altro, scopavo sempre meno.
Non ero più in me nel momento in cui tornai, senza apparente motivo, nello studio di Giorgio. O forse ero troppo in me. Lui si stupì di vedermi entrare. Mi chiese il motivo.
Per un attimo ebbi paura e la tentazione di scappare via. Poi presi coraggio e riuscii a parlare.
“C’è un’ultima cosa da fare prima di chiudere la pratica. Ce ne siamo dimenticati.”
“Cosa?” chiese Giorgio stupito.
Mi avvicinai a lui, mi misi tra lui e la scrivania. Lo guardai con un sorriso malizioso. Lui forse intuì ma ancora non poteva crederci.
“Il dottore voleva sapere se tu mi bombavi. E se mi bombavi qui, sulla tua scrivania.” dicendo questa frase mi chinai appoggiando il petto alla scrivania e sollevandomi la gonna. I miei occhi erano fissi su quelli del cliente, che li strabuzzò sconvolto da quella mia frase.
Giorgio si alzò. Appoggiò una mano sul mio sedere.
“Sicura?” sussurrò, ma io non scossai. Restammo lì così per alcuni istanti. Il cliente si alzò a sua volta in piedi per vedere meglio la situazione. Io sentii che le mie mutande venivano abbassate. Poi un rumore di cerniera e qualcosa di caldo e duro si appoggiò fra le mie chiappe.
Udii il rumore di un paio di sputi. In quel momento ebbi un sussulto, un ripensamento. Avevo dimenticato un dettaglio. Giorgio aveva detto che quando mi scopava lo faceva solo nel culo. Io nel culo non lo avevo mai preso. Il mio fidanzato non ci aveva mai neanche provato.
Fu l’eccitazione all’estremo, fu quel poco di saliva che rendeva un po’ scivoloso il cazzo, fu il movimento lento ma senza esitazioni del mio capo, ma nel giro di un attimo il mio ano si era allargato e aveva accolto la penetrazione senza troppo dolore.
Non l’avevo mai preso nel culo. E lo stavo prendendo. Non avevo mai fatto nulla col mio capo. E ci stavo facendo sesso. Non mi ero mai fatta guardare mentre scopavo. E un nostro cliente era presente.
Dopo pochissimo a queste novità ne potei aggiungere un’altra: non lo avevo mai fatto in tre. E invece il nostro cliente si sbottonò i pantaloni e tirò fuori un cazzo peloso e un po’ storto. Mi prese per la nuca e me lo piantò in bocca, cominciando a scoparmela.
Io cominciai a godere. Non tanto per il cazzo in bocca che non mi provocava piacere e neanche per quello in culo per il quale sentivo più che altro una sorta di fastidio bollente ma gradevole. Ma la situazione. Come una troia ero sbattuta sulla scrivania del mio capo, che finalmente mi scopava e un altro uomo ancora più vecchio se lo stava facendo succhiare.
In quel momento mi venne in mente anche qual era il sogno del nostro cliente nei miei confronti. E venne in mente anche a lui. E tolse il cazzo dalla mia bocca. E mi venne in faccia.
Nessuno mi aveva mai sborrato in faccia. Forse era ora che mi trovassi un altro fidanzato, un po’ più porco del mio.
La sborra imbrattò anche alcuni fogli sulla scrivania del mio capo, che però non se ne accorse, distratto dallo sborrarmi a sua volta, sulle chiappe.
E così proseguì il mio periodo da praticante, prima di entrare in pianta stabile in quello studio. L’investimento di Giorgio aveva dato i suoi frutti che forse per lui erano fin dall’inizio quelli che poi ha ottenuto. Imparai sicuramente molto, tante nuove pratiche, e usai il sesso come forma di potere, subendolo o usandolo per i miei scopi.
Quel cliente tornò tante altre volte nel nostro studio, per delle consulenze legali che consistevano nello sborrarmi in faccia.
Il fidanzato lo lasciai. Giorgio invece non lasciò la moglie ma mi tenne come amante fissa pagandomi pure l’affitto in una casa nuova, da sola, con un armadio adatto a tanti nuovi vestiti. In cambio del culo.