Entrai nel salone a braccetto con mio marito. Molti soffermarono il loro sguardo su di me appena mi riconobbero. In parte era dovuto al mio aspetto fisico: quella sera ero perfetta. Trucco, capelli freschi di parrucchiere, vestito elegante, costoso e che mi valorizzava al meglio. Non che andassi sciatta al lavoro, anzi, ma quella sera ero pronta per un galà. L’altro motivo per cui molti mi guardarono era perché quella era una serata importante per il gruppo di cui faceva parte la mia azienda e importantissima per alcuni di noi, tra cui forse me stessa, il cui nome era sulla bocca di molti.
Quella sera l’amministratore delegato storico del gruppo avrebbe annunciato quello che ormai tutti sapevano: che con l’arrivo della pensione aveva deciso di ritirarsi e lasciare spazio ad altri. Inoltre avrebbe forse annunciato quello che invece nessuno sapeva: un nome per la sua successione. Chiaramente spettava al consiglio eleggerlo, ma se avesse fatto un nome, se avesse suggerito qualcuno, nessuno avrebbe osato andare contro alla decisione dell’uomo che aveva fatto crescere e consolidato quella realtà industriale potente.
Io ero una delle poche donne che potevano aspirare a quel ruolo, forse l’unica. Ero a capo di una delle aziende del gruppo, una delle più piccole, ma una delle più innovative e di quelle che crescevano di più. Ero più giovane di gran parte degli aspiranti a quel ruolo, ma per qualche motivo il mio nome era girato. Mi stimavano in molti. Forse in tanti avrebbero preferito vedere me in quel posto invece che uno dei loro rivali. Forse la mia forza era non avere troppi nemici. E lui, l’amministratore dimissionario, aveva una buona opinione di me. Così dicevano e così mi era sembrato tutte le volte che ci avevo avuto a che fare direttamente.
C’era poi un’altra questione che accompagnava tutti i discorsi sul fare o meno carriera, per il fatto che ero una donna. E oltretutto una donna avvenente. C’erano malignità che giravano, nonostante avessi dimostrato di valere il ruolo che avevo e di essermelo guadagnato con i fatti. Si diceva che potessi averla data a qualcuno. Si mormorava che avessi qualche amante all’interno del gruppo. Ogni volta uno diverso. Bastava un pranzo di lavoro con qualcuno ed ecco che subito si pensava che ci fossi andata a letto, per convincerlo, per sedurlo, per ingannarlo o per avere qualcosa in cambio. Forse ad alimentare queste dicerie c’era anche il fatto che gli interessati raramente smentivano, anzi magari ci marciavano sopra. Ero una bella donna, far credere di avermi scopato rinforzava il loro orgoglio maschile. E in più molti ci speravano, ci provavano. Volevano venire a letto con me, in effetti. Ma io ero sempre rimasta sul professionale, senza mischiare altre questioni.
E lui, il grande capo? Anche lui avrebbe voluto portarmi a letto? Pensavo di sì. Aveva un modo di fare naturalmente seduttivo, grazie soprattutto al ruolo di potere che esercitava. E sicuramente mi aveva guardato sempre anche con occhi da maschio, non solo da amministratore delegato. Io gli avevo mai dato illusioni di poterci stare? Forse sì. Forse lo facevo un po’ con tutti. Sfruttavo la mia bellezza, le mie armi femminili. Dovevo farlo in quel mondo spietato. Gli uomini usavano le armi maschili, io quelle che avevo a disposizione. Quindi forse lui, come tanti, avrebbe voluto portarmi a letto, con una differenza: che lui aveva in effetti qualcosa che io avrei voluto disperatamente ottenere, soprattutto allora che era arrivato il momento.
“Amore, come mi giudicheresti se io facessi qualcosa di sconveniente pur di fare un salto di carriera?”
Feci questa domanda a mio marito al termine di un lungo e dolce amplesso in un caldo pomeriggio estivo nella nostra casa al mare. Ero appoggiata ad una sua spalla e con le dita disegnavo ghirigori sul suo petto villoso.
“In che senso? Qualcosa di illegale?” fece lui.
“No. Non propriamente illegale. Solo sconveniente. Moralmente sconveniente.”
“Spiegati meglio. Cosa?”
Gli spiegai la situazione. Gli raccontai che su di me in azienda giravano certe voci. Lo rassicurai che erano tutte fandonie. Ma poi gli dissi che qualcuno ipotizzava che io potessi essere scelta e messa a capo di tutto il gruppo. I meriti li avevo, la stima di chi poteva fare il mio nome anche.
“E allora che problema c’è? Se fanno il tuo nome te lo sarai meritato.” disse mio marito.
“Ma se invece non bastasse?” chiesi io. “Se non bastassero i risultati che ho ottenuto e la stima che mi sono guadagnata? Cosa dovrei fare se pretendesse qualcosa in più da me?”
“Qualcosa… tipo?”
“Dai, senza girarci attorno. Se pretendesse che io gliela dessi per ottenere il posto. Se mi dicesse che se mi faccio scopare il suo posto sarà mio.”
Mio marito sobbalzò. Aveva già intuito ma sentirselo dire così direttamente lo colpì.
“Dici che è il tipo che potrebbe farti una richiesta, anzi un ricatto, del genere?”
“Non lo so. Diciamo che è nella condizione di farlo. È l’unico in una posizione tale, con un potere tale che potrebbe pretenderlo. Anche perché è l’unico che può darmi qualcosa in cambio di inestimabile.”
“Qualcosa che vale più dei tuoi valori morali?”
“Non lo so. Forse sì.”
“Dici sul serio?”
“Sono combattuta. Ma ci sto pensando da settimane. Da quando questa situazione si è delineata. Riflettendoci seriamente: davvero valgono più i miei scrupoli rispetto a quello che potrei ottenere? In fondo di cosa si tratterebbe? Di lasciare che un cazzo mi entri dentro: una scopata in cambio del ruolo più prestigioso.”
“Però lo otterresti in qualche modo… barando… e tradendo tuo marito.”
“Per questo ho voluto parlartene. Tu cosa ne penseresti. Seriamente. Quanto vale per te l’assoluta fedeltà coniugale? Quanto è importante che nella fica di tua moglie non entri mai nessun altro, anche se quest’altro dovesse entrare per motivi che nulla hanno a che fare con la passione, l’amore, il sentimento?”
“Ti rendi conto che è folle quello che mi stai chiedendo?”
“Sì, ma è tutto folle. Bisogna valutare tutto. Io faccio così sul lavoro. Costi-benefici. E non solo di quello che si fa, ma anche di quello che non si fa.”
“Cosa intendi?”
“Proviamo a pensare a cosa succederebbe: lui mi chiede di dargliela in cambio della nomina, io mi rifiuto e non ottengo il posto. Ma ottengo poi un sacco di rimpianti: e se avessi ceduto, dove sarei ora? Cose così. Vuoi una moglie così? Tutto ciò ha impatto sulla coppia, anche. Per questo te ne parlo. Senza ipocrisie.”
“Una ipocrisia forse c’è.” disse mio marito freddamente.
“Quale?”
“Che mi sembra che tu in realtà dentro di te avresti già deciso come comportarti.”
“Non lo so. Forse. Per questo te ne parlo. Voglio sentire cosa ne pensi. Sinceramente. Ne terrò conto. Altrimenti te lo avrei tenuto nascosto. Sarebbe stato più facile.”
Restammo a lungo in silenzio. Mio marito pensava. Io con le dita continuai ad accarezzarlo sul petto, poi sulla pancia, poi scesi fino a toccargli il cazzo, che si ridestò. Gli feci una lenta sega fino a quando lui mi bloccò.
“Non posso pensare a queste cose, risponderti su queste cose, con il cazzo duro. Non ragiono a cazzo duro.”
“Non mi devi rispondere subito. Puoi pensarci e adesso possiamo scopare di nuovo, se vuoi.”
“Sì, scopiamo.”
Salii sopra di lui e mi impalai sul suo cazzo.
“Ma quanto è concreta l’ipotesi che ti faccia una richiesta del genere?” mi chiese dopo un po’ che lo cavalcavo. Evidentemente stava continuando a pensarci, anche se aveva il cazzo duro. O forse proprio per quello.
“È molto remota. Remotissima. Quasi impossibile. Sarebbe già incredibile che mi prendesse veramente in considerazione per quel ruolo e se anche lo facesse credo sia difficile che vorrebbe veramente in cambio scoparmi pur di darmelo.”
“E allora perché me lo hai chiesto?”
“Non lo so.”
Continuai ad ondeggiare sul corpo di mio marito con il suo cazzo che usciva ed entrava dalla mia fica. Lui teneva le mani sulle mie tette e mi guardava in modo strano.
“Dimmi la verità.” disse mentre mi avvicinavo all’orgasmo. “A te sotto sotto eccita l’idea di ottenere qualcosa in cambio della tua fica… fare un po’ la puttana, per una volta… non è vero?”
Non risposi a mio marito che forse mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa, almeno sotto certi aspetti. Non gli risposi anche perché nel frattempo arrivai all’orgasmo. Ma forse anche perché non volevo veramente rispondergli e ammetterlo.
Prima che iniziasse la cena, tra le tante public relation che portai avanti, in parte costretta e in parte con piacere, mi incontrai con il mio maggior confidente all’interno del gruppo. Era un membro del consiglio di amministrazione ma era anche un amico. Era lui che aveva lavorato per sponsorizzare un mio avanzamento. Con lui avevo un ottimo rapporto e visto quanto ci frequentavamo sarebbe stato sicuramente uno dei tanti amanti attribuitimi, se non fosse che era notoriamente gay.
“Novità? Pensi che stasera dirà qualcosa?” gli chiesi curiosa e impaziente di sapere se quella serata di celebrazioni per il pensionamento del grande capo sarebbe stata anche la sera decisiva per la sua sostituzione.
“Non so niente di certo. Ma ho l’impressione che non dirà niente. Credo non abbia ancora deciso se suggerire qualcuno e nel caso chi. Ma questa secondo me è una buona notizia.”
“Dici?”
“Sì. Vuol dire che sei ancora in corsa e io stasera cercherò di farti avere un incontro con lui. Se accetta vuol dire che non ha ancora deciso e, ancora meglio, vuol dire che sei tra i papabili.”
A metà della cena il mio amico venne furtivo al nostro tavolo e mi parlò nell’orecchio.
“Ottime notizie. Ti vuole incontrare per, testuali parole, conoscerti un po’ meglio. Vuol dire che è ancora tutto in ballo e vuol dire che ti sta prendendo in considerazione. Anzi, forse vuole proprio fare una ultima chiacchierata con te per poi decidere.”
“Non mi illudere.” dissi scaramantica.
“Non ti illudo, però ha fatto anche una strana richiesta, che secondo me è un buon segno.”
“Che richiesta?”
“Mi ha chiesto se eri qui da sola o col marito. E ha detto che vuole conoscere anche lui. Quindi dopo ti vengo a chiamare quando è il momento e ci andate insieme.”
“Con mio marito? Che strano. Chissà come mai.”
“Secondo me è un ottimo segno. Vuole avere una chiara opinione di come sei, vuole conoscerti, vuole assicurarsi di avere scelto bene, io credo.”
“Se lo dici tu… ma non voglio ancora pensarci. Probabilmente è solo cortesia.”
Non era ancora finita la cena, ma noi da diversi minuti eravamo in una saletta privata del ristorante che ci ospitava. Io, mio marito e l’amministratore delegato. Una conversazione piacevole, portata avanti soprattutto da lui che era notoriamente uno abituato a parlare a lungo. Io ero un po’ bloccata. Avevo timore di dire qualcosa di sbagliato, di sconveniente. Mio marito invece sembrava più rilassato e stava aiutandomi a dare di noi una buona impressione. Non si sarebbe parlato di lavoro, aveva detto all’inizio ma era chiaro a tutti fin da subito che il non detto che aleggiava nella stanza era la sua decisione e il fatto che io potessi farne parte.
“Ad esempio io stasera pensavo di fare davanti a tutti il nome di chi vedrei bene come mio successore.” disse di punto in bianco, cambiando argomento. Mi guardò. Io sostenni lo sguardo, cercando di non far trapelare niente.
“Quindi ha già preso una decisione?” chiese impudemente mio marito.
“Quasi. Sono indeciso fra due. Con uno dei nomi in netto vantaggio. Ho solo bisogno di togliermi gli ultimi dubbi.”
“E quali sono questi dubbi?”
“Vorrei essere sicuro che la persona prescelta abbia alcune qualità necessarie per fare il mio lavoro.” mi guardò intensamente.
“Quali?” intervenni io timidamente.
“Qualcosa che non si trova sul curriculum, peraltro ottimo. Ad esempio la capacità di scendere a compromessi. La capacità di fare cose che non sempre sono quelle che uno vorrebbe fare. Andare contro, talvolta, ai propri principi. La capacità di ingoiare rospi, di perdere una battaglia ma per vincere poi la guerra, per ottenere qualcosa di superiore al sacrificio fatto. Anche lasciare perdere il proprio orgoglio a volte. Saper apparire debole e sconfitto momentaneamente per poi diventare forte e vincitore.”
“Capisco…” mormorai io abbassando lo sguardo.
“Oppure ancora serve la capacità di avere controllo sulle cose ma anche quella di non averlo. Cioè lasciare che sia qualcun altro a fare le scelte di cui si ha la responsabilità. Bisogna saper rischiare, ma sapendo di poter affrontare il rischio.”
“È difficile sapere se qualcuno ha tutte queste qualità finché questa persona non si trova ad affrontarle.”
“Ottima risposta.” mi disse compiaciuto e poi aggiunse sornione: “Per questo si potrebbe fare un piccolo test.”
“Un test?” dissi io titubante.
Ci fu un attimo di silenzio. Noi tre ci guardammo a vicenda. L’atmosfera era cambiata. Avevamo superato un limite, dal quale non si poteva tornare indietro. Dovevo buttarmi. Potevo farmi male o iniziare a volare.
“Che test?” insistetti dando il via alla situazione pericolosa.
“Facciamo un esempio.” iniziò lui. “Poniamo che lei sia la persona che io potrei suggerire davanti a tutti come mia sostituta.”
Trasalii a sentirgli pronunciare quelle parole. Era vero, era tutto vero. Poteva accadere.
“Vede, io al momento sono in una posizione di grande potere nei suoi confronti. Posso decidere il suo destino. Lei vorrà fare di tutto per compiacermi, ma è in una posizione di netta inferiorità. Ma la ricompensa che può ottenere è smisurata. Fino a che punto sarebbe disposta a scendere pur di ottenere ciò che desidera?”
“Difficile dirlo…” mormorai deglutendo nervosamente. Non sapevo dove volesse arrivare. La presenza di mio marito da un certo punto di vista mi tranquillizzava, da un altro non mi faceva capire che cosa avrebbe potuto chiedermi.
“Sa, nel nostro rapporto si inserisce oltretutto una variante che non sempre c’è nei rapporti di forza nel mondo del lavoro.”
“Quale?” chiesi io non capendo.
“Lei è una bella donna. Bellissima. Molto affascinante. Lei è molto ammirata da tutti. Ammirata e temuta. Desiderata ma irraggiungibile. Da quasi tutti, non certo da uno nella mia posizione.”
“Nel senso che lei non mi desidera o che lei mi può raggiungere?” osai chiedere.
“Se ha fatto la domanda, sa rispondersi da sola. Io non solo potrei raggiungerla. Io potrei farmi raggiungere. Potrei obbligarla. No, obbligarla non è la parola giusta e non è la parola da usare in un certo tipo di rapporto. Sul lavoro forse, ma su altre cose non servono gli obblighi, non si ottiene nulla con gli obblighi o quello che si ottiene non vale la pena ottenerlo. Capisce cosa intendo?”
“Forse.”
“Io potrei obbligarla, ora, a farmi qualcosa che lei non vuole fare. Potrei farlo anche se c’è suo marito presente. Sono nella posizione per farlo. Lei potrebbe rifiutarsi. Non posso veramente obbligarla. Certo potrebbe voler dire per lei non ottenere poi nulla.”
“E quindi?” lo affrontai decisa. Ero disposta a tutto, forse. “Cosa dovrei fare per dimostrare di essere all’altezza?”
Mi guardò come se mi stesse studiando, ma non mi rispose. Si rivolse invece a mio marito.
“Mi dica: con una moglie così ha dovuto fare sacrifici per la sua carriera, in modo che lei potesse fare la sua con meno ostacoli?”
“Non li chiamerei proprio sacrifici. Ci sono state delle scelte di coppia, condivise, che hanno favorito la sua carriera, forse a discapito della mia, perché sembravano essere le scelte migliori nel complesso per entrambi.” rispose tranquillo mio marito. Sembrava dominare la situazione molto meglio di me.
“Mi sembra un atteggiamento molto intelligente da parte sua. Evidentemente anche dietro ad una grande donna c’è sempre un grande uomo.”
“La ringrazio.”
“Allora visto che lei sembra così assennato nel prendere le decisioni per il bene di tutti, anche decisioni difficili e per lei negative, e visto che sua moglie, se vuole il mio ruolo, deve abituarsi a gestire situazioni che si creano per decisioni non sue, faccio decidere a lei come si deve concludere questa nostra chiacchierata.”
“Quali sono le opzioni?”
“Gliele devo esplicitare? Pensavo fossero evidenti.”
“Meglio giocare a carte scoperte.”
“Le carte non si possono sempre scoprire tutte. Una possibilità è sicuramente quella che la nostra conversazione termini qui. Io mi sono fatto un’idea, ma non sono giunto alla conclusione definitiva.”
“E l’altra opzione? Immagino sia quella che non si può scoprire.”
“L’altra opzione è che prima di uscire sia io che sua moglie otteniamo quello che poteva sembrare irraggiungibile. In questo caso la decisione sarebbe chiusa.”
Mio marito mi guardò. Non in cerca di approvazione, ma con uno sguardo quasi di orgoglio.
“Io credo che sarebbe meglio uscire da qui senza dubbi.” disse mio marito.
“Sono d’accordo. Quindi cosa dovrei fare?”
“Credo che dovrebbe scopare mia moglie.”
Sussultai a sentire quelle parole pronunciate da mio marito. Le trovai eccitanti. I due uomini invece sembrarono impassibili, come se parlassero d’altro. Entrambi si girarono a guardarmi, come in attesa di una mia risposta.
Mi alzai in piedi. Era l’ultima opportunità. Potevo andarmene sdegnata. Ma non era quello che volevo e, mi accorsi, neanche tanto per quello che quella scopata significava come ricompensa. Ero attratta dalla situazione, dal gioco di potere che si stava consumando.
Mi avvicinai, ancheggiando sui tacchi, ad un tavolo che c’era a fianco della zona con le poltroncine dove eravamo seduti. Mi appoggiai piegandomi in avanti. Poi mi alzai, lentamente, la gonna. Dietro di me non si muoveva una foglia. I due uomini mi osservavano, entrambi eccitati ma con stati d’animo sicuramente diversi.
Mi abbassai le mutande. Sentii qualcuno alzarsi. Guardai con la coda dell’occhio. Era l’amministratore delegato. Venne dietro di me. Appoggiò una mano sul mio culo nudo.
“La fama di questo fondoschiena ha scalato i vertici del gruppo ben prima della sua proprietaria.” commentò mentre si slacciava i pantaloni.
Mi sentii contemporaneamente un oggetto impotente e una donna potente.
Ebbi un brivido sentendo le sue dita insinuarsi nell’incavo fra le chiappe e poi scendere, passare sotto e risalire verso la fica.
“Mi dica, come vuole essere scopata?” grugnì nel mio orecchio.
“Chieda anche questo a mio marito.” risposi.
“Nel culo.” disse lui senza pensarci neanche, il porco.
“Ottima scelta. Mi sembra appropriata per il tipo di transazione che stiamo compiendo. Ma ho una domanda, prima.”
“Mi dica.”
“Vorrei evitare spiacevoli sorprese. Amo la sodomia, ma non lo sporco. Posso andare sul sicuro? È pulita.”
“Sì. Sono pulita.” dissi imbarazzata.
“Sicura?” insistette e intuii il perché. Era un altro gioco di potere.
“Sì. Mi sono ripulita prima di uscire, stasera. Ripulita internamente.”
“Ottimo. E, mi dica, perché lo ha fatto?” ecco a cosa voleva arrivare.
“Per… per una situazione come questa.”
“Quindi lei aveva già previsto tutto. È uscita di casa pronta a concedere il culo per ottenere quello che voleva.”
“Sì, in un certo senso.”
“Credo che lei sia proprio la persona giusta per succedermi.” disse appoggiando la cappella contro il mio ano.
“Grazie.” gli dissi mentre si spingeva dentro di me.
Quando l’amministratore delegato uscente prese la parola per il suo discorso di commiato l’intera sala si zittì e lo ascoltò in religioso silenzio. Parlò per diversi minuti, raccontando la sua storia all’interno dell’azienda. Poi arrivò il momento che tutti attendevano. Cominciò a delineare il profilo della persona che secondo lui avrebbe dovuto sostituirlo.
Disse anche che era una persona che per l’azienda si era fatta il culo. Era uno che sapeva mescolare volgarità e discorsi alti. A me venne da sorridere. Mi sembrò di sentire ancora la sborra dentro di me. Mio marito mi guardò, felice e forse ancora eccitato.
Infine disse il mio nome. Tutti gli occhi si girarono verso di me. Mi sentii nuda. Pensavo che tutti potessero vedermi come ero stata qualche decina di minuti prima. Seminuda, piegata a novanta e con un cazzo nel culo. Mi applaudirono. I miei rivali diretti per quel posto mi guardarono con odio ma anche con sollievo che non fosse toccato ad un altro di loro. Mi sentii orgogliosa e anche eccitata. Inebriata dal potere. Ceduto e ottenuto.
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