Farsi comandare per superare l’ansia di dover comandare
Quel giorno mia moglie si era svegliata prima del solito a causa dell’agitazione. Quel giorno aveva un importantissimo incontro di lavoro e l’ansia la divorava. Si era svegliata prima anche perché sapeva che ci avrebbe impiegato molto più del solito a prepararsi, indecisa fino all’ultimo su quali scarpe abbinare a quale tailleur, su come truccarsi, su come pettinarsi, su quali gioielli indossare. Doveva apparire come una donna decisa e sicura, per dimostrare la sua forza e allo stesso tempo voleva essere affascinante e seduttiva per poter sfruttare anche la sua innegabile bellezza per darsi ulteriore forza.
Alla fine, quando uscì dalla camera pronta per uscire, era bellissima, sexy ma non troppo, decisamente elegante e raffinata. Scarpe décolleté nere col tacco a spillo, caviglie e polpacci dalla pelle liscia ed abbronzata, gonna stretta appena sotto al ginocchio che le avvolgeva il culo in maniera entusiasmante, camicia bianca con un collo elaborato, giacca con spalline in tinta con la gonna, due perle alle orecchie, una catenina semplice al collo, rossetto come unico trucco evidente e capelli raccolti.
Io la guardai che ero ancora in mutande, dovendo uscire solo a metà mattina. Il mio cazzo diventò barzotto nell’ammirarla.
Era agitata, tesa e nervosa. Aveva bisogno di essere rassicurata e sostenuta. Andai alla porta e la abbracciai sussurandole qualche parola di incoraggiamento. Nel farlo mi venne in mente come aveva voluto sostegno e conforto anche la sera prima, cercandomi appena eravamo andati a letto.
“Non farmi pensare a domani. Fammi dimenticare tutto.” mi aveva sussurrato per poi concedersi in maniera più passiva del solito.
Le piaceva molto farsi dominare nel sesso, offrire il suo corpo alle mie voglie e cedere quel controllo che nella vita normalmente aveva su tutto. Sul lavoro, ad esempio, comandava su molte persone e aveva molte responsabilità. A letto amava farsi comandare e delegare la responsabilità su ciò che si lasciava fare.
“Sei eccitato?” mi chiese mentre la abbracciavo sulla porta di casa e il mio cazzo duro le premeva contro un fianco. Io annuii. “Sono io che ti eccito?”
“Sì, ovvio.”
“Sono vestita troppo provocante?” mi chiese preoccupata.
“No. Sei una gran gnocca vestita adatta al ruolo che devi svolgere oggi. E mi eccita vederti così bella e così potente.”
“Ma che reazioni provocherò negli altri?”
“Le donne ti invidieranno. Agli uomini verrà duro nel vedere una donna così bella e intelligente.”
“Sai, a volte vorrei non avere tutte queste responsabilità, tutto questo potere.” mi disse mentre abbassava gli occhi e mi tastava il cazzo con la mano.
“E cosa vorresti essere?”
“Solo una gnocca… fare strada solo grazie alla bellezza.”
“Vorresti essere troia…” le dissi conoscendo le sue perversioni.
“Sì. Essere liberamente la troia che mi sento di essere…”
Dopo quella frase mi guardò per un attimo negli occhi. Era momentaneamente uscita dal ruolo di donna in carriera che avrebbe dovuto ricoprire quel giorno ed era tornata la ragazza porcellina che avevo conosciuto. Si abbassò senza inginocchiarsi ma restando in equilibrio sui tacchi col culo quasi appoggiato ai talloni e le ginocchia aperte. Così facendo la donna le si era arrotolata all’altezza dei fianchi, mettendo in mostra le mutande. Con le mani si aggrappò ai miei fianchi e mi abbassò le mutande. Il mio cazzò spuntò fuori rimbalzando. Lei lo prese subito in bocca cominciando a succhiarlo con ingordigia.
Eravamo lì sulla porta di casa, sul pianerottolo. Qualcuno avrebbe potuto vederci. Lei aveva bisogno di correre un rischio che le facesse dimenticare le preoccupazioni del lavoro. Lei aveva bisogno di sentirsi degradata prima di assumere il ruolo di comando.
Le stavo per appoggiare una mano sulla testa, per guidarne i movimenti e scoparla bene in bocca, ma mi fermò.
“Mi spettini.” mi disse interrompendosi per un attimo.
Le sue unghie smaltate di fresco si piantarono nei miei glutei mentre lei proseguiva quel pompino come se fosse la cosa più importante da fare in quel giorno. Percepire la sua voglia di succhiarmi mi rese impossibile durare più di tanto e la mia eiaculazione era ormai imminente.
“Sto per venire.” le dissi preoccupandomi del fatto che forse non voleva ricevere la mia sborra e soprattutto che non rischiasse di sporcarsi. Questa ultima considerazione doveva averla fatta sicuramente anche lei dato che non fece altro che ingoiare ancora di più il mio cazzo per assicurarsi che nessuna goccia di sborra fuoriuscisse dalle sue labbra. Quando fu sicura che mi ero svuotato del tutto si staccò e si rialzò, mostrandomi orgogliosa come mandava giù tutto per poi leccarsi le labbra.
Era ancora impeccabile, solo il rossetto si era rovinato rimanendo in buona parte sul mio cazzo che appariva lucido di sborra e pieno di macchie rosse.
“Me lo rifaccio in macchina.” mi disse quando le indicai le labbra per avvertirla di una cosa di cui era già ben consapevole.
La osservai scedere le scale, ancora con il cazzo fuori. Sembrava più rilassata e sorridente. Quel fuori programma le era servito. Chiusi la porta di casa dopo aver lanciato una occhiata alla porta di fronte. Chissà se c’era qualcuno dietro lo spioncino che ci aveva spiato.
Mi tranquillizzai dato che ero sicuro che lei avrebbe saputo affrontare la giornata e che quell’imprevisto l’avesse rilassata a sufficienza. Ma mi sbagliavo.
Dopo circa due ore mi chiamò al telefono. Appena risposi sentii la sua voce agitata.
“Non ce la faccio.” disse. “L’ansia mi divora.”
Provai a tranquillizzarla, con parole calme. Le ricordai anche quello che mi aveva fatto sul pianerottolo, per distrarla.
“Ecco, no. Ho fatto una cazzata a fartelo.” commentò lei, sorprendendomi.
“Perché mai?”
“Perché… non so come dire… mi è rimasta dentro una gran voglia… cioè ho ancora più bisogno di sentirmi usata… dominata… degradata… ripensare a quel momento non mi tranquillizza, mi fa solo sentire che avrei bisogno di molto di più per contrastare l’ansia di tutte le altre cose…”
“Vorrei poterti aiutare, ma…”
“Esatto. Ti vorrei qui. Vorrei mettermi sulla mia scrivania, sulle mie cose di lavoro, anche come gesto simbolico per esorcizzarle…”
“E cosa vorresti che io ti facessi?” le chiesi provando a farla sfogare a parole.
“Vorrei… vorrei essere sodomizzata con forza… vorrei farmi sfondare il culo…”
“Mh…” mi venne istantaneamente duro.
“Non riesci a passare di qua in tempo?” mi implorò.
“Sono già partito, sono in autostrada.” le dissi dispiaciuto.
“Uffa. Avrei bisogno di te. Ho bisogno di qualcosa che mi faccia sentire così.”
“Cosa posso fare?”
“Non so, inventati qualcosa. Ho bisogno di sentirmi dominata e degradata prima di esercitare il mio potere su tutte quelle altre persone.”
“Penso a qualcosa e ti richiamo.”
Guidai per qualche chilometro col cazzo duro pensando alla mia donna così forte e così desiderosa di fragilità. Pensai a come si sentiva libera quando la scopavo nel culo e le scacciavo così dalla mente tutte le convenzioni sociali. Aveva bisogno di sentirsi sotto controllo di qualcuno per bilanciare tutto il controllo che invece doveva avere nella vita professionale e sociale.
Rispose immediatamente al primo squillo. Non aspettava altro che la mia chiamata.
“Dimmi cosa devo fare.” esordì.
“Senti, in quel palazzo vicino a quello dei vostri uffici c’è ancora quel sexy shop?”
“Uhm, sì… credo di sì… non lo so.”
“Vacci. Ho una idea.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Allora provo a scendere. Restiamo al telefono?” l’ultima più che una domanda era una richiesta.
Ascoltai il rumore dei suoi tacchi nei corridoi dei suoi uffici, poi il silenzio dell’ascensore e poi i rumori di strada quando era arrivata giù.
“Sì. È qui. C’è ancora. Sembra aperto.”
“Entraci.”
“Ok.” disse esitando un po’. Non era una esitazione dovuta al fatto che non voleva obbedirmi, ma rappresentava il momento in cui si affidava completamente alla mia volontà, così come avrebbe fatto se fosse stata piegata a novanta sulla scrivania con il culo scoperto.
“Cosa devo fare?” mi chiese appena dentro.
“Cerca se ci sono dei plug anali. Anzi chiedilo al commesso? C’è un commesso?”
“Sì, c’è un uomo. Scusi, avete dei plug anali?“
Rimasi in silenzio senza riuscire a sentire cosa le veniva risposto.
“Eccomi. Sono qua, ce li ho davanti.”
“Scegline uno che sia comodo da portare, ma che si faccia sentire.”
“Uhm, non so come scegliere.”
“Chiedi aiuto.”
Sentii che diceva qualcosa dopo aver abbassato il telefono. Ci fu una conversazione di cui non capii le parole.
“Mi chiede per quanto devo indossarlo.”
“Per tutta la giornata.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Ok. E poi cosa devo fare?”
“Poi ti fai dare anche del lubrificante e torni in ufficio, vai in bagno, ti infili il plug e lo tieni su tutta la giornata. Lo sentirai anche quando farai la tua riunione e questo ti farà sentire dominata come piace a te e ti tranquillizzerà.”
“Sei un genio. Sei un porco depravato ma sei un genio. Però non posso salire in ufficio con questa roba. E se mi vedesse qualcuno? Cioè sarebbe veramente degradante ed eccitante, ma… non posso… capisci che non posso.”
“Hai ragione. Indossalo lì nel sexy shop, allora. Anzi, ancora meglio, fattelo inserire da quell’uomo.”
“Non dici sul serio, vero?”
“Certo che dico sul serio.”
Smise di parlare con me e sentii brandelli di conversazione con il commesso del negozio. Lei che diceva “prendo questo”, poi gli chiedeva un favore. Dopo poco lei tornò a rivolgersi a me.
“Ok. Adesso lo faccio.”
“Bene. Descrivimi tutto. Anzi no, passami lui.”
Lei risposi con un gemito. Era un ulteriore modo per umiliarla e le piaceva.
“Buongiorno.” disse una voce profonda.
“Buongiorno, grazie per la collaborazione. Sono il marito della donna che ha davanti.”
“Nessun problema, è un piacere. Non capita tutti i giorni, nonostante il negozio in cui lavoro.”
“Eh, immagino. Poi una donna così. È una donna importante, con un ruolo di rilievo, sa?”
“Lo si intuisce. Elegante e raffinata.”
“Esatto. Ma anche una gran porca che ama essere umiliata.”
“Anche questo si intuiva.”
“Ora come è messa?”
“È appoggiata al bancone, con le gambe aperte.”
“Le dica di tirarsi su la gonna, di abbassarsi le mutande e di aprirsi le chiappe. Lei intanto lubrifichi bene il plug.”
“Tranquillo, so come si fa.”
“Bene.”
“Ecco glielo sto inserendo.”
“Ha un bel culo, vero?”
“Stupendo.”
“Bene, glielo ha messo dentro?”
“Sì.”
“Ottimo. Me la ripassi e di nuovo grazie per l’aiuto.”
“Si figuri.”
Salutai e il telefono tornò in mano a mia moglie.
“Amore.” dissi.
“Sei un porco.”
“Lo senti il plug dentro?”
“Sì. Ho avuto un orgasmo mentre me lo infilava.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Bene, ora torna in ufficio. Fai quello che devi fare. Spacca il culo a tutti quelli che se lo meritano, fatti valere, fai quello che sai fare.”
“Ok.”
“E poi stasera quando torni a casa ti tolgo il plug.”
“Sei un maiale bastardo.”
“Sono quello che ti serve.”
“Hai ragione. Ti amo.”