Mi sarei persino potuto innamorare di lei se non avessi saputo che era così con me soltanto perché ero il suo amante, quasi clandestino. Dico quasi perché continuava a comportarsi come se lo fossi anche se da diversi mesi il marito ne era consapevole e a quanto mi diceva lei ne era anche contento. Che fossi però per lei ancora molto simile ad un amante segreto lo capii durante quel primo weekend insieme in un’altra città. Mai era stata così disinibita in luoghi che non fossero la camera da letto di un hotel.
Stavamo camminando per le vie del centro di Roma, tornando verso l’hotel dopo la cena al ristorante. Le misi una mano sul culo, palpandole con vigore una chiappa.
“Brava, sento che ti stai abituando a portare il perizoma.” commentai.
“No. Non porto il perizoma.” mi rispose lei tranquilla.
“Ma come?” massaggiai meglio tutto il gluteo, “Non sento il segno delle mutande.”
“Senti meglio…” disse ridendo, un po’ brilla.
Portai la mano sotto alla gonna aderente del suo vestito a tubino. Sfiorai il bordo delle autoreggenti e la portai verso l’alto afferrando il gluteo. Non sentii nessuna mutanda sotto le dita. Spostai la mano fra le sue gambe, continuando a non trovare traccia di tessuto.
“Non hai niente, puttanella. Sei senza mutande. Cazzo, ti scoperei qui.” esclamai apprezzando la sorpresa.
Lei si guardò un attimo attorno. Eravamo in un vicolo. Era tardi e non c’era nessuno in giro.
“Fallo!” mi sfidò.
Io la guardai per qualche istante poi con un gesto secco le tirai su la gonna arrotolandogliela sui fianchi. Lei istintivamente si coprì il pube con le mani ma solo per un attimo, poi rimase a gambe larghe, nuda dalla cintola in giù in tacchi e autoreggenti. Aveva un’espressione famelica e allo stesso tempo spaventata. Si capiva che aveva paura di quello che stava facendo che però la eccitava molto. Mi slacciai la patta dei pantaloni mentre davo un’occhiata in giro per vedere se arrivava qualcuno. Poi mi fiondai su di lei che indietreggiò incespicando e fermandosi con la schiena contro il muro. Spinsi il mio corpo contro il suo, bloccandola tra me e la parete, poi puntai il cazzo all’entrata della sua figa. Dopo qualche affondo le sollevai le gambe tenendogliele con le braccia e mantenendola sollevata da terra grazie alle spinte e alla pressione contro il muro. Non durò molto la scopata, giusto il tempo di svuotarmi dentro di lei e di assistere al passaggio di un motorino che ci passò lentamente a fianco e il cui guidatore ci apostrofò con un “Abbelli!” urlato nella notte romana.
Non credo che ci furono altri spettatori alla nostra sveltina, a parte quella telecamera di sorveglianza poco lontana che le dissi di salutare mentre ci allontanavamo e la sorreggevo nella sua incerta camminata in tacchi sui sampietrini della via.