
dedicato a S. e A.
per quella bella serata
(e per tutto il resto)
A cena
Era una nostra ricorrenza importante e le avevo detto che l’avrei portata a mangiare in un bel ristorante.
“Vestiti bene, Ary.” le avevo suggerito in modo ammiccante. Lei sapeva che questa mia richiesta significava che volevo si vestisse in modo sexy e un po’ provocante, chiaramente in maniera adeguata al contesto in cui saremmo stati.
Me la ritrovai davanti con scarpe dal tacco altissimo ed una gonna molto corta. Sopra aveva un vestito molto scollato tanto che era aperto in mezzo ai seni fino all’ombelico, impedendole così di indossare un reggiseno. Forse era un po’ eccessiva per il luogo in cui saremmo andati, di sicuro non sarebbe passata inosservata, ma il mio cazzo appena la vide fu piuttosto contento di averla come compagna.
A metà della cena, dopo diversi discorsi e atteggiamenti allusivi, mi stava fissando con aria sempre più maliziosa, come se nascondesse qualcosa o se preparasse una sorpresa.
“Che hai?” le chiesi incuriosito.
Arianna si guardò attorno, in modo seducente. Poi si sporse verso il centro del tavolo, per avvicinare i nostri visi e potermi dire qualcosa a bassa voce.
“Prendi il telefono. Mettilo sotto al tavolo. E scatta una foto.”
Eseguii i suoi ordini. Non mi tiravo mai indietro quando lei mi proponeva qualcosa di erotico e in questo caso già avevo un sospetto che mi aveva fatto venire un bel sorriso arrapato in volto.
Scattai. Esaminai la foto, un po’ buia, e poi la guardai negli occhi.
“Non hai le mutandine?” glielo chiesi anche se ne ero quasi sicuro. Nella foto si vedeva lei che allargava le gambe, si tirava su la stoffa della gonna e nella penombra si intravedevano le labbra della sua figa.
“No, non ho niente… sono nuda.” mi disse quasi ansimando.
Rimanemmo un po’ in silenzio, fissandoci negli occhi. Lei aveva la bocca semi aperta.
Respirava un po’ affanosamente. Aveva una mano sul tavolo e una sotto.
“Cosa stai facendo?” le chiesi.
Non mi rispose e chiuse gli occhi, aprendo ancora di più la bocca. Presi di nuovo il telefono e scattai un’altra foto da sotto al tavolo. La controllai e si vedeva la mano di lei che in modo palese era impegnata in una masturbazione profonda.
Il mio cazzo era durissimo. La mia donna si stava masturbando in pubblico, nel bel mezzo di un ristorante elegante.
Non so se raggiunse l’orgasmo. Di sicuro ci andò molto vicino, pur contenendone l’espressione esterna. Ma venne interrotta dall’arrivo dei primi piatti.
Dopo un po’, con anche qualche bicchiere di vino in più, la sua espressione era sempre più ammiccante. Di nuovo si piegò in avanti per dirmi qualcosa.
“C’è uno che mi ha visto.” mi informò con tono cospiratorio.
“Chi?” chiesi in parte allarmato in parte divertito.
“È un uomo dietro di te. No, non girarti.”
“È da solo?”
“Direi di sì.”
“Che tipo è?”
“Sembra un uomo distinto, elegante. È più vecchio di noi.”
“E cosa credi che abbia visto? E perché pensi che abbia visto qualcosa?”
“Da come mi guarda. Da dove guarda. Vedo che abbassa spesso lo sguardo sotto al nostro tavolo. Ha la visuale perfetta. Prima mi ha anche sorriso e ha alzato il suo calice come per fare un brindisi a distanza. Può vedere tutto se…”
“Se?”
“Se io apro le gambe.”
“E tu le stai aprendo?”
“Sì.”
“Sei una porca esibizionista.”
“Hai ragione. Sono tutta eccitata. Sto colando dalla fica.”
“E cosa vuoi fare? Vuoi continuare a provocarmi e provocarlo? Io ho una voglia di scoparti che interromperei la cena adesso. Anzi, ti vorrei ribaltare qui sul tavolo e scoparti davanti a tutti.”
“Smettila. Mi ecciti.”
La guardai. Aveva quell’aria da porca che avrebbe resuscitato un morto.
“Vado un attimo in bagno…” disse pochi istanti dopo lasciando in sospeso la frase.
“E…? Vuoi che ti raggiunga lì?” chiesi speranzoso di rimediare una scopata nei bagni del ristorante.
“No. Voglio vedere se quell’uomo mi segue. Gli devo passare vicino per andare, gli sorriderò, gli ammiccherò e vediamo cosa fa.”
“Sei sicura? E se ti segue veramente?”
“Dai, non rischio niente. Non oserà più di tanto in un luogo così, sapendo che ci sei tu qua. Ma tu non girarti, non guardarmi mentre gli passo a fianco o subito dopo. Non fargli capire che siamo d’accordo.”
“Ok.” dissi un po’ riluttante ma anche tremendamente eccitato.
La guardai alzarsi, sistemarsi un po’ la gonna e ancheggiare sensuale sui tacchi. Non mi voltai per seguirla con lo sguardo. Passarono alcuni minuti. Un po’ tanti per una semplice visita al bagno. Mi girai. Guardai i tavoli che erano dietro di me alla ricerca di un uomo che corrispondesse alla sua descrizione. Non ce n’era nessuno ma, proprio nella posizione da cui avrebbe avuto la visuale giusta su di lei, c’era un tavolo vuoto apparecchiato per una persona.
Infine Arianna tornò. Sorrideva soddisfatta e riprese la cena da dove l’aveva interrotta.
“Allora? Cosa è successo?”
Si versò del vino, mi guardò maliziosa e disse:
“Te lo racconto dopo.” notai che guardò dietro di me e fece un piccolo cenno col bicchiere in mano. Io istintivamente feci per girarmi. Lei mi bloccò, in modo discreto. “Non girarti, non guardarlo. Voglio che sembri che tu sei ignaro di tutto.”
“Perché?”
“Non so. Così. Stasera mi eccita così.”
Allo specchio
Salimmo in macchina dopo una breve passeggiata tra il ristorante e il parcheggio durante la quale avevo tenuto costantemente la mia mano su una sua chiappa. Appena dentro ci baciammo, le portai la mano a sentire il mio pacco duro e le dissi:
“Cazzo che voglia che ho, Ary. Vorrei un tuo pompino qui nel parcheggio. Ma prima voglio sentire cosa è successo nel bagno del ristorante.”
Lei si tirò su staccandosi da me e mi guardò con una espressione provocante e innocente allo stesso tempo. Non so come faceva ad essere così espressiva nei suoi atteggiamenti. Era sempre capace di farmelo drizzare solo con un sorriso.
“Davvero lo vuoi sapere?”
“Sì.”
“Allora…, gli sono passata a fianco per andare al bagno, gli sono passata vicina, molto più vicina di quel che era necessario. Avevo la fichetta bagnata e mi sono chiesta se lui potesse percepirne l’odore. L’ho fissato negli occhi, anche lui mi guardava. Ho capito che mi ha seguito con lo sguardo. Mi ha osservato bene il culo. Io ho accentuato lo sculettamento sui tacchi.”
“Sei una puttanella provocatrice tu.”
“Sì. E sono arrivata in bagno. C’era un antibagno con due lavandini, un ripiano in marmo e uno specchio a tutta parete. Mi sono messa lì, appoggiata al ripiano, piegata in avanti verso lo specchio, sulle punte dei piedi con le gambe un po’ aperte. Fissavo la mia immagine riflessa, mi passavo la lingua sulle labbra e la mia eccitazione aumentava. L’attesa è sembrata lunghissima. Temevo non arrivasse più.”
“Temevi? Quindi volevi proprio che venisse. Ti piaceva quell’uomo?”
“Sì, mi intrigava molto. Aveva un modo di fare interessante, un modo di guardarmi allo stesso tempo con discrezione ma anche esplicito e voglioso.”
Si interruppe un attimo e cominciò a toccarsi in mezzo alle gambe. Io la fermai.
“No, Ary, non ti toccare ora. Finisci di raccontarmi. Voglio che ti ecciti solo attraverso il tuo ricordo e le tue parole.”
“Ok.” accettò con un broncio, “Allora finalmente la porta si è aperta. Era lui. Io gli ho sorriso. Ma poi sono tornata a guardare la mia immagine riflessa, senza modificare la mia posizione. Lui lentamente è venuto dietro di me. Mi è piaciuta questa sua mancanza di fretta. Segno che si sentiva sicuro. Ho visto la sua sagoma comparire nello specchio, dietro di me. Abbiamo incrociato di nuovo lo sguardo attraverso il riflesso. Poi lui, pian piano, mi ha sollevato la gonna.”
“Aspetta. Ma lui aveva chiuso la chiave la porta del bagno o poteva arrivare qualcuno?”
“No, non credo l’avesse chiusa.”
“Quindi se venivo a vedere dove eri finita ti avrei visto con lui… oppure se fosse arrivato qualcun altro vi avrebbe visto?”
“Sì. E l’idea che potesse arrivare qualcuno mi eccitava.”
“Cazzo! Sei una troia. Che potesse arrivare qualcuno o che potessi arrivare io?”
“Uhm, non so. Qualcuno. Non importa chi.”
“Ok. Continua.”
“Quindi lui mi ha sollevato la gonna mettendo in mostra il mio culetto nudo. Lo ha ammirato per un po’, lo ha accarezzato con gentilezza. Mi ha fatto dei complimenti, mi ha detto che era perfetto, che io ero una meraviglia e che soprattutto si vedeva che ero una gran porca. Io a quelle parole stavo sbrodolando.”
“Guardavi lui o guardavi te stessa nello specchio?”
“Avevo il viso a pochi centimetri dallo specchio. Mi fissavo negli occhi come se stessi guardando un’altra. Non ero sicura che fossi io. Pensavo:
‘ma guarda questa quanto è troia a culo nudo nel bagno di un ristorante con uno sconosciuto’.
“
“Ok. Poi?”
“Poi mi ha toccato in mezzo alle gambe. Delicatamente all’inizio ma nel giro di poco aveva un dito che sfregava contro il clitoride, altre due che si infilavano dentro e il pollice che sfiorava il buchetto dietro. Ci sapeva fare molto bene. Mi ha fatto godere in un attimo, mi ha fatto godere moltissimo. Mi ha fatto anche squirtare. Ho bagnato per terra.”
“Cazzo…”
“Quando si è fermato io ero sconvolta. L’ho guardato mentre si leccava le dita e io pian piano mi sono ripresa, mi sono ricomposta. E dopo un po’ sono uscita dal bagno e sono tornata da te. Le gambe quasi non mi reggevano. Lui è rimasto lì, deve essere uscito poco dopo. Magari è andato a farsi una sega nel bagno.”
“E non vi siete detti niente?”
Ary sembrò esitare, come se fosse una domanda più compromettente rispetto al resto che mi aveva raccontato.
“Ehm, sì. Lui mi ha detto che era meglio se tornavo dal mio uomo. Poi mi ha detto altre cose.”
“Cosa?”
“Mi ha detto che era lui era disponibile a continuare il gioco. Mi ha detto che gli sarebbe piaciuto guardarmi mentre scopavo insieme a te. Mi ha proposto di continuare la serata insieme. Mi ha detto di dirtelo. Mi ha lasciato il biglietto da visita.”
Iniziò a cercare dentro la sua borsetta e poi mi porse il fogliettino.
“E tu non pensavi di dirmelo?”
“Mah, non so. Pensavo che tu volessi continuare la serata solo noi due…”
Mi rigirai fra le mani il biglietto da visita. Era un architetto. Aveva uno studio in centro.
“Sì. Io volevo continuare la serata in un certo modo, ma non sapevo di questa alternativa. Cosa ti ha proposto esattamente?”
“Mi ha detto che potevamo andare nel suo studio e lui ci avrebbe guardato scopare. Non pretendeva altro. Solo come voyeur.”
“A te eccita questa idea?”
Lei non mi rispose. Si morse le labbra. Distolse lo sguardo.
“A te eccita questa idea?” le rifeci la domanda ma stavolta con le dita ero andato a giocare in mezzo alle sue gambe. Lei reagì subito ansimando e gemendo.
“Rispondimi.”
“Sì… mi eccita… mi eccita… mi eccita… oh… sto venendo… sto venendo…”
La osservai compiaciuto mentre lei provava l’ennesimo orgasmo di una serata appena iniziata.
“Come sei rimasta d’accordo?”
“Mi ha detto di chiamarlo, se volevamo fare qualcosa. Anche nei prossimi giorni.”
“Tu vuoi aspettare i prossimi giorni?” chiesi in modo retorico.
“No. Voglio farlo ora.” disse impaziente.
“Chiamalo.” le ordinai porgendole il biglietto.
Lei fece il numero, impaziente e un po’ imbarazzata.
“Buonasera Architetto… sì, sono io… la chiamo perché, ehm, perché ne ho parlato con il mio uomo… sì, gli ho raccontato tutto, tutto quello che abbiamo fatto nel bagno… sì, ha apprezzato… ok, glielo dirò, gli dirò che è un grand’uomo e che la sua donna è una troia… e, niente, volevo dire che per stasera, ecco, ci siamo per fare quello che ci ha proposto… sì veniamo da lei… sì, abbiamo visto l’indirizzo sul biglietto… ok… ok… fra mezz’ora, va bene… a fra poco allora.”
Mise giù e mi guardò con aria un po’ terrorizzata e un po’ felice.
“Mezz’ora ha detto?”
“Sì.”
“Noi in dieci minuti siamo lì. C’è tempo per un pompino.” le suggerii.
Non se lo fece ripetere due volte e lì nel parcheggio si piegò su di me prendendomelo in bocca fino a farsi schizzare dentro.
Nell’ombra
Parcheggiamo in una via del centro. L’ufficio di quell’uomo era in un vecchio palazzo signorile. Entrammo nell’androne e ci dirigemmo all’ascensore. Appena dentro Ary mi saltò al collo e mi baciò.
“Quali sono i limiti stasera?” mi chiese.
“Ha detto che a lui va bene anche solo guardare, no?”
“Ok, ma metti che nell’eccitazione della serata succeda qualcos’altro?”
“Cosa intendi?”
“Non lo so. Tu dimmi a che punto mi devo fermare.”
“Non devo dirtelo io. Tu puoi fare tutto quello che ti senti di fare.”
“Grazie. Lo sai che ti amo, vero?”
“Certo. Anche tu lo sai, no?”
“Sì, se no mi diresti queste cose.”
L’ascensore arrivò al piano e ne uscimmo. La porta dello studio era socchiusa. Le istruzioni che le aveva dato erano di entrare e di seguire il corridoio fino alla stanza da cui avremmo visto uscire della luce. Così facemmo ed entrammo in uno studio spazioso, arredato in stile moderno. Al centro era stato messo un piccolo sofà, di fronte ad un grande scrivania. L’unica luce della stanza era una lampada da tavolo puntata dalla scrivania verso il sofà. L’uomo era seduto in poltrona dietro la luce in modo che fosse in ombra e in controluce per noi. A fatica ne distinsi la sagoma.
“Ben arrivati.” disse con voce profonda. “Sentitevi liberi di fare ciò che volete.”
“Vuole… ha delle richieste particolari, Architetto?” lei si rivolse a lui.
“No. Voglio vedere come scopa con il suo uomo. Voglio vedere come è nei momenti di massima intimità. Spero che la mia presenza non vi turbi troppo. Lasciatevi andare. Fate come fate normalmente. Io starò qui, non vi disturberò.”
Ci sedemmo sul sofà e iniziammo a pomiciare, a baciarci, a toccarci. Pian piano ci spogliammo fino a rimanere completamente nudi. Arianna stava per togliersi anche le scarpe ma io la fermai.
“Quelle tienile.” mormorai. Da dietro la scrivania mi sembrò di percepire un sospiro di approvazione.
Nel giro di poco stavamo scopando. Lei era stesa sul divanetto con una gamba tirata su sorretta dallo schienale e l’altra giù. In qualche modo io cercavo di assumere posizioni che dessero una buona visuale al nostro spettatore. Per il resto invece la sua presenza era così discreta che tendevamo a dimenticarci di avere un pubblico.
Io, grazie anche al pompino di poco prima, durai molto e la scopai per diversi minuti senza venire, a differenza sua che ormai aveva perso il conto degli orgasmi in quella serata.
Venni, infine, mentre ero seduto sul sofà con lei sopra che mi cavalcava dando la schiena verso la scrivania e verso il nostro voyeur. Probabilmente fu una delle posizioni che lui più apprezzò dato che gli dava modo di osservare bene il culo e la schiena di Ary che ondeggiavano sinuosi.
Mentre io ero seduto, gambe e braccia larghe, e mi riprendevo dallo sforzo, lei si alzò e, senza dire niente, camminò girando attorno alla scrivania e andando dall’Architetto. Li sentii mormorare e sussurrare senza capire bene tutte le parole. Poi, improvvisamente, lei venne fatta stendere sulla scrivania, risultando così illuminata e visibile dal tronco in su.
Guardò verso di me e subito spalancò gli occhi e la bocca, emettendo un gemito di piacere.
Intuii, anche se nell’ombra vedevo poco, che lui la stesse masturbando così come aveva fatto nel bagno. Lei sembrava apprezzare molto. La vidi socchiudere gli occhi lasciando visibile soltanto la parte bianca. La bocca era sempre più aperta e la lingua fuori. Le sue urla aumentarono di volume. Stava godendo, un godimento ininterrotto.
Ad un certo punto vidi la mano di lui, una mano vigorosa, afferrarla per i capelli in modo da tirarle indietro la testa. Subito dopo sul volto di lei si dipinse la sorpresa seguita dal piacere e da un lungo gemito senza apparente fine.
“Co… co… cosa… cos’è?” balbettò lei quando fu nuovamente in grado di parlare in modo compiuto.
“È un fermacarte di ebano, di forma fallica. Glielo dica. Lo dica a lui come lo sto usando, che dubito che lo veda dalla sua posizione.” commentò l’Architetto, compiaciuto.
“Me lo ha…. me lo ha… aaaaah.” non riuscì a completare la frase, perdendosi nell’ennesimo orgasmo.
“Su glielo dica dove ce l’ha.”
“Me lo ha infilato nel culo. Non so, mi sembra grossissimo ma è entrato come niente. È… è bellissimo.” disse Ary rapidamente come per riuscire a dire tutto prima di godere di nuovo.
Misteri
Guidando verso casa ogni tanto mi giravo a guardarla. Aveva un’aria beata e rilassata.
Stava seduta sul sedile dell’auto un po’ raggomitolata, con i piedi nudi sul sedile.
“Sei felice?” le domandai.
Lei annuì e restammo ancora un po’ in silenzio. Dall’autoradio una musica soft.
“Sai che alla fine io lui non l’ho neanche visto in faccia.” commentai.
“Lo so, ma alla fine è bello che questa serata abbia mantenuto un aurea di mistero un po’ per tutti. Lui non sa chi siamo, tu non lo hai visto in faccia…”
“E tu che mistero non hai svelato?”
“Io non so lui cosa voglia, nel senso che è una figura intrigante. Mi ha dato l’idea che sia un gran perverso che potrebbe spingerci a fare tante cose. E tutto questo so che non lo fa per se stesso. Ho avuto l’impressione che lui sia una sorta di feticista del piacere altrui.”
“In che senso? Cosa te lo fa pensare?”
“L’ho toccato. Quando sono andata dietro la scrivania l’ho toccato. Ammetto che avevo voglia di masturbarlo, forse anche di succhiarlo. Ma il suo cazzo era morbido. Credo che sia impotente o qualcosa del genere. Però è bravissimo nel toccarmi e nel farmi godere. Anche il fatto che abbia voluto guardarci secondo me testimonia il fatto che ama nutrirsi del piacere altrui, non potendolo forse provare in prima persona.”
“Ah, e questo te lo rende interessante?”
“Sì, mi dà l’idea che sia talmente porco che per riuscire a godere possa portarmi a livelli di piacere estremi. Cioè, il modo in cui ha saputo toccarmi, il modo in cui mi ha infilato quel fermacarte nel culo… è stato incredibile. Ti dispiace? Ti dà fastidio che pensi queste cose?”
“No… no.” risposi anche se forse in modo non così convinto. Ero quasi invidioso ed era folle esserlo di uno impotente. “Quindi… quindi vuoi rivederlo?”
“Sì.” rispose senza esitazione.
Vibrazioni
E lo rivedemmo. Una serata organizzata da lui fin nei minimi dettagli. Fu Ary a tenere i contatti per cui io non ero a conoscenza di tutto. In realtà neanche lei sapeva la sorpresa che le aveva riservato l’Architetto.
Le istruzioni che le aveva mandato contenevano l’indirizzo di un ristorante di livello ancora più alto di quello in cui lo avevamo incontrato la prima volta. Prima di raggiungere il ristorante, però, dovevamo passare in un posto in cui c’erano delle cassette automatiche per ricevere le consegne di pacchi. Ci aveva fornito il codice per aprirne una e ritirarne il contenuto, ovvero un piccolo pacchetto anonimo. Lei avrebbe dovuto aprirlo soltanto al ristorante, in bagno. Le anticipò che era qualcosa da indossare. Lei si immaginò una lingerie particolare. Io ipotizzai una cavigliera o un altro gioiello, magari con un simbolo particolare.
Quella sera si era vestita in maniera più elegante, sebbene sempre provocante. Scarpe aperte col tacco a spillo, vestito a tubino sopra al ginocchio e senza spalline. Quella volta le mutandine sotto le aveva e, forse, pensai io, le avrebbe dovute sostituire con quelle nel pacchetto.
Appena arrivati lei si guardò attorno e non lo vide. Andò in bagno e dopo qualche minuto tornò.
“Allora? Cos’era?” le chiesi io dopo aver visto che alla caviglia non aveva niente e apparentemente neanche al polso o al collo.
“Non posso ancora dirtelo.” mi rispose lei, quasi un po’ turbata. “Le istruzioni dicevano così. Lo scoprirai.”
“Ok.” dissi io ma dando a questo punto per scontato che fosse una mutandina particolare.
Dopo qualche minuto mi informò che era arrivato e si era seduto ad un tavolo un po’ distante dal nostro, seppur in vista. Avrei potuto girarmi, per vedere finalmente di chi si trattasse, ma ormai si era inserito questo gioco fra noi per cui io non sapevo chi lui fosse e la cosa ci divertiva.
Stavamo chiacchierando fra noi. Io avevo un braccio appoggiato sul tavolo e lei, con un gesto amorevole aveva messo la sua mano sulla mia e la accarezzava dolcemente.
Improvvisamente percepii in lei un leggero spasmo, un sussulto. Istintivamente Arianna mi artigliò il braccio, premendo le unghie sulla mia pelle. La guardai in faccia e vidi che ansimava e aveva la bocca leggermente aperta e tendeva a chiudere gli occhi.
“Tutto bene?” chiesi preoccupato. “Ti senti bene?”
“S.. sì.” sussurrò lei ma non accennò a smettere di avere quelle strane reazioni. Poi improvvisamente arrivò il cameriere a porgerci i menu e proprio in quell’istante lei sembrò ritornare normale e a darsi un contegno. Appena il cameriere se ne fu andato notai che lei fulminò con lo sguardo in direzione del tavolo dell’Architetto.
“Che è successo?” chiesi io.
Stava per rispondermi quando ebbe un’altra sorta di contrazione e mi strinse di nuovo la mano.
“Quello stronzo…” farfugliò. “Mi ha fatto indossare un vibratore. C’era scritto che avrei potuto attivarlo quando volevo usando la parte che fuoriesce all’esterno, invece evidentemente lo può controllare anche lui da remoto. E… mmmmm… lo ha acceso di nuovo… cazzo… che bello…”
In mezzo a quel ristorante elegante la mia donna era sottoposta a scariche di piacere improvvise e imprevedibili da parte di quell’uomo che a distanza si godeva lo spettacolo di lei che combatteva con le sensazioni piacevoli perché non diventassero troppo evidenti all’esterno.
Passavano minuti in cui non succedeva niente e poi c’erano alcuni istanti in cui Ary non sapeva come mettersi, come contenersi per non rendere palese il suo quasi orgasmo. Lui si divertiva a metterla in difficoltà soprattutto quando qualche cameriere si avvicinava. Poi cominciò a mandarle delle piccole e brevi vibrazioni ogni volta che ingurgitava qualcosa.
“È il cibo più buono che io abbia mai mangiato.” disse lei ad un certo punto.
“Davvero?” chiesi io stupito. Era sicuramente una cucina di ottima qualità ma mi stupiva quel suo giudizio assoluto.
“Certo. Ogni volta che metto in bocca qualcosa ho quasi un orgasmo…” disse Ary ed io capii che non si stava riferendo solo al cibo. Ridemmo.
Verso la fine della cena lei non ce la faceva più. Era eccitata da far schifo e vogliosa in maniera indecente.
“Non ce la faccio più. Non rispondo più di me. Fra poco mi inginocchio davanti al cameriere, glielo tiro fuori e glielo succhio qui davanti a tutti.”
“Sarebbe uno spettacolo.” dissi io che ormai stavo al gioco organizzato dall’Architetto.
“Basta, basta. Devo andare in bagno, devo andare a togliermelo. Non ce la faccio più.”
“Puoi?” chiesi io che non sapevo quali erano le istruzioni che lui le aveva lasciato.
“No.” disse lei alzandosi incerta sui tacchi. “C’era scritto che se me lo fossi tolto prima della fine della cena avrei dovuto pagare una penitenza.”
“Che penitenza?”
“Non lo so. Sarà sicuramente qualcosa di sessuale, ma non sarà peggio di quello che avrei voglia di fare ora.”
“E sarebbe? Cosa vorresti fare ora?”
“Spogliarmi nuda, mettermi sul tavolo a quattro zampe e masturbarmi fica e culo davanti a tutti implorando che qualcuno mi scopi.”
“Ok. Ok. Vai pure in bagno, fai quello che vuoi.” dissi io divertito dalla piega che aveva preso la serata ma anche un po’ sconvolto dal desiderio sessuale che le era cresciuto.
La osservai camminare incerta sui tacchi. L’Architetto doveva aver azionato il dispositivo a massima potenza e lei sentiva le gambe cedere in seguito al piacere di un orgasmo continuo. Ad un certo punto quasi inciampò e si appoggiò ad un uomo seduto ad un tavolo.
Si scusò, lui subito la guardò male ma poi, vedendo che era una bella donna, abbozzò.
Probabilmente gli sembro ubriaca e in un certo senso lo era, ma non di alcool, sebbene la cena fosse innaffiata da un buon bianco, bensì di godimento sessuale.
In esposizione
In realtà la penitenza colpì più me che Ary. Ma non provai neanche a protestare. Era diventata così elettrica e vogliosa in quel periodo che io comunque stavo godendo i frutti delle perversioni dell’Architetto. E osservare il piacere che si impossessava di lei anche in momenti apparentemente calmi della giornata era decisamente gradevole. Cominciavo a capire perché a lui piacesse così tanto cibarsi del piacere altrui. Tornavo a casa e la trovavo intenta a masturbarsi. Durante il giorno mi spediva foto esplicite che si scattava di nascosto in luoghi anche pubblici. Poi voleva sempre scopare.
Accettai dunque che quella serata lei andasse da sola con l’Architetto. La accompagnai in auto e la lasciai davanti ad un ristorante. Vedere la sua silhouette incedere sculettando sui tacchi ed entrare nel locale mi provocò un misto di orgoglio per la bellezza della mia donna, di dolore per il fatto che di quella bellezza quella sera non avrei goduto e di eccitazione perché sapevo che anche lei era già eccitata e pronta a vivere una serata di trasgressione.
Avevamo stabilito alcune regole. Intanto mi avrebbe dovuto periodicamente avvisare che tutto procedeva bene. Poi l’altra regola che comunque lei stessa aveva voluto porre era che non si sarebbe fatta scopare da nessuno. Dato che usciva con l’Architetto non avrebbe dovuto esserci questo problema ma avevamo capito che lui aveva strane idee in mente e non escludevamo che avrebbe coinvolto qualcun altro. Lui era comunque a conoscenza di queste limitazioni ed aveva dato il suo consenso.
Tornai a casa, nervoso ed eccitato, e ricevetti il primo messaggio vocale da Ary. Era tranquilla, sembrava allegra. Diceva che era tutto a posto. Cercai di distrarmi, mi misi a guardare una partita in televisione ma ad un certo punto mi resi conto che se qualcuno mi avesse chiesto qual era il risultato non avrei saputo rispondere. La mia mente era tutta concentrata su quel ristorante. La mia mano si muoveva lenta attorno al mio cazzo semirigido.
Arrivò un altro messaggio vocale, dopo circa un’ora.
“Ciao, amore. Stiamo per finire di mangiare. Qui tutto a posto. È una serata piacevole, stiamo solo chiacchierando. Lui è molto galante ed educato.” parlava sottovoce, con la sua bella voce.
“Di che parlate?” le risposi scrivendo un messaggio.
“Beh, di sesso più che altro.” mi scrisse aggiungendo la faccina che faceva la linguaccia.
Io spensi la tv e mi dedicai soltanto al mio cazzo. Mi masturbai a lungo. Il pensiero era a lei, più che altro al fatto che lei in questo momento fosse eccitata, che le stesse piacendo quella situazione di parlare di sesso con un quasi sconosciuto. Mi segai con l’intento di non giungere all’orgasmo, solo di mantenere lo stato di eccitazione. Ma qualche pensiero di troppo, il ricordarsi come Ary fosse uscita vestita, l’immagine mentale del viso di lei e della luce nei suoi occhi quando è eccitata mi portarono oltre il limite e mi sborrai addosso.
Poi dopo un’altra ora, quando ormai si stava facendo tardi, il mio telefono suonò di nuovo. Ascoltai il messaggio.
“Tutto bene. Abbiamo finito di mangiare ma siamo rimasti qui. Stiamo ancora parlando. Aspettiamo la chiusura del ristorante.”
Quest’ultima informazione mi suonò strana. Non voleva dunque portarla da qualche altra parte. Per un verso questo mi tranquillizzò. Poi decisi di scriverle una domanda.
“Sei eccitata?”
“Da far schifo.” mi rispose lei immediatamente.
“Solo per aver parlato?” le chiesi io.
Passò un po’ di tempo, poi mi arrivò un altro audio, con voce quasi ansimante.
“Amore, non sai le cose che mi ha fatto dire. Mi ha fatto raccontare tutte le mie esperienze erotiche. Ricordare tutto mi ha fatto eccitare in una maniera… boh, non so neanche io come. Gli ho confessato di tutto… cioè, gli ho detto cose che non avevo mai detto a nessuno… no, anche cose che non sai neanche tu… oddio… ti amo.”
Sembrò quasi un tradimento quello che mi aveva appena detto. Forse in altri momenti me la sarei presa. Ma sentirla così su di giri, così felice di quella situazione mi provocò soltanto gioia per lei. Il suo piacere mi inebriava. Il suo piacere era inebriante, forse per tutti, non solo per me. Era questo che la rendeva così unica.
Aspettai diversi minuti senza avere altre notizie. Ormai era un orario in cui il ristorante avrebbe dovuto essere chiuso. Mi chiedevo dunque se si fossero spostati oppure perché non mi avesse chiamato per farsi venire a prendere. Poi improvvisamente il telefono squillò.
Risposi concitato. Sentii una voce maschile. La voce dell’Architetto.
“Buonasera. La sto chiamando io perché la signorina è al momento impegnata. Mi ha detto lei di avvisarla.”
“Ah… buonasera… ehm… devo venire a prenderla?”
“Mh, no. È ancora presto.”
“Ma quindi cosa voleva dirmi? E perché non poteva chiamarmi lei? Cosa sta facendo in questo momento?” mi accorsi che il mio tono stava diventando un po’ allarmato e, forse, geloso.
“In questo momento… ha le mani legate.”
“Legate? Come?”
“Legate all’inferriata di una finestra. Aspetti, vuole che le mandi una foto?”
“Sì…” sospirai quasi timoroso.
Dopo qualche istante mi arrivò una foto. C’era Ary di spalle, con le gambe un po’ larghe.
Indossava le scarpe col tacco e le autoreggenti e nient’altro. Era nuda e con il culo ben esposto. La schiena era inarcata, coperta in parte dai lunghi capelli sciolti. Le braccia erano verso l’alto con i polsi incrociati e legati da un nastro alle sbarre di una finestra con le imposte chiuse.
“Ha visto? Le piace?”
“Sì…” mormorai rispondendo forse a entrambe le domande. “Ma chi c’è lì con voi?”
“C’è il proprietario del ristorante che è un mio amico e altri due nostri amici. Noi stiamo facendo alcune mani di poker. La sua donna è il premio.”
“Il premio? In che senso? Si era detto che…”
“Sì, sì, stia tranquillo, nessuno la scoperà. Io e i miei amici non saremmo comunque all’altezza di una come lei. Chi vince la potrà… assaggiare.”
Riguardai un attimo la foto. Notai un particolare a cui prima non avevo fatto caso. Glielo domandai.
“Che cosa ha…” mentre facevo la domanda mi resi conto dell’assurdità della situazione. “Che cosa ha nel culo? Non si capisce.”
“È un piccolo plug. Ce l’aveva fin dall’inizio della serata, se lo è messo lei a casa, è stata una sua idea, una sorpresa che mi ha fatto. Non se ne era accorto? Non ne sapeva niente?”
“No…” risposi mio malgrado e sentendo sensazioni contrastanti dentro di me. Estasi per la mentalità da porca che Ary dimostrava di avere ormai acquisito e gelosia per l’essere tenuto all’oscuro di alcune cose. Poi capii cosa mi avrebbe fatto passare i pensieri negativi e aggiunsi: “Scusi, lei sta sentendo questa telefonata?”
“Sta sentendo quello che dico io, non sente la sua voce. Vuole che gliela passi?”
“No. Voglio che faccia una cosa. Si avvicini a lei.”
“Fatto. Sono vicinissimo. Ne sento il profumo.”
“Ecco… ora… la tocchi.”
“Dove?”
“La tocchi… le senta la fica… con le dita… senta se è bagnata… mi dica quanto è bagnata.”
“Le dico solo che per sentire quanto è bagnata potevo anche non intingere le dita nella sua figa. Mi sarebbe bastato sfiorarle l’interno coscia e avrei raccolto una qualche gocciolina che scendeva lentamente lungo la pelle.”
“Ok. Ok. Va tutto bene allora. Continuate pure.”
“Bravo, vedo che sta capendo.”
“Capendo cosa?”
“Il piacere del piacere altrui. Per lei poi non è un altrui qualunque, è quello della sua donna. Un po’ la invidio.”
Salutai e chiusi la telefonata. Quando avevo sentito che era così eccitata avevo avuto anche io un orgasmo.
Il piacere altrui
Poi si avvicinò il compleanno di Arianna e l’Architetto in qualche modo l’aveva saputo e le aveva voluto fare un regalo. Un altro incontro organizzato da lui, con l’intento di donarle il massimo del piacere e poi goderne anche lui di conseguenza. Era, come sempre, una sorpresa e lei era impaziente di scoprire cosa avesse pensato per lei. Il fatto che ne avesse ascoltato storia e fantasie erotiche mi faceva immaginare che avesse preso spunto da qualcosa. Mi chiedevo se fosse una di quelle cose che io non sapevo.
Ricevemmo una busta. Dentro c’era l’indicazione di una prenotazione in un albergo di lusso sul lago proprio per la sera del suo compleanno.
“Sposterò la festa con le mie amiche.” commentò Ary che aveva in realtà già fissato un impegno.
I giorni precedenti lei era elettrizzata e impaziente. Ed era anche costantemente vogliosa.
Dove non potevo sopperire io si trastullava con i vari vibratori che possedeva.
Poi arrivò quella data. Passammo una bella serata e poi andammo in camera. Una camera molto romantica con un grosso letto tondo al centro. Sul letto c’era un’altra busta. Dentro un foglietto e due nastri o meglio due bende per gli occhi.
“Cosa dice?” le chiesi.
“C’è un disegnino.” me lo mostrò.
Erano un uomo e una donna stilizzati che facevano sesso su un letto. La donna cavalcava l’uomo. Entrambi erano bendati. Sullo sfondo c’era una porta aperta.
Riproducemmo esattamente la scena disegnata, seppur non lasciando spalancata la porta della camera ma non chiudendola a chiave.
“Arriverà lui?” le chiesi per assicurarmi che avesse la mia stessa idea.
“Sì. Penso che ci vorrà guardare scopare.”
“E perché le bende?”
“Non vorrà che la sua presenza ci disturbi, non lo so… oppure…” non concluse la frase.
“Oppure?”
“No, no, niente.” ma capii che non mi stava dicendo tutto.
Iniziammo a scopare. All’inizio anche in altre posizioni, poi assumemmo quella del disegno e Ary in quel momento si lasciò andare ad urla di piacere più intense. Subito dopo percepimmo una presenza. Anzi più di una. Non c’era solo l’Architetto. Pensai subito a quei suoi amici del ristorante. Sentimmo dei rumori. Gente che si spogliava. Erano almeno quattro, anzi forse di più. C’era qualcun altro oltre a quelli che pensavo. Capii che stavano salendo sul letto. Erano tanti.
“Oddio chi siete?” domandò lei con voce contenta, non spaventata.
“Togliti la benda se vuoi saperlo.” rispose l’Architetto.
Stava cavalcando il mio cazzo e la sentii godere nel momento in cui presumibilmente si era tolta la benda.
“Oddio che bello, tutti questi uomini per me… Sì, guardatemi…” sembrava indemoniata.
Mi sfilai anche io la benda e vidi tutto intorno a noi una decina di uomini di varie età.
Erano nudi e si stavano segando il cazzo. La mia donna si guardava attorno rapita dal suo stesso pubblico. Sentiva i loro sguardi su di lei. Vedeva i loro cazzi in erezione puntare verso di lei. Tutti eccitati per lei e lei tutta eccitata per loro. Non l’avevo mai vista così.
“La mia fantasia… la mia fantasia…” mormorava. Quella di essere guardata da tanti uomini mentre faceva sesso con me. Adesso che stava succedendo mi ricordavo che una volta me l’aveva accennata. Evidentemente l’aveva ripetuta all’Architetto quella sera.
Non fu una cosa che in quel momento concitato ebbi il tempo di notare ma, riflettendoci in seguito, mi resi conto che non erano stati scelti a caso. Erano tutti uomini che ad Ary fisicamente potevano piacere. Corpi in forma e dotazioni sessuali da discrete a importanti.
Ary continuava a farsi scopare da me, il mio cazzo sguazzava nei suoi abbondanti umori, e si guardava attorno impazzita come per non perdere neanche un fotogramma di quella scena che tante volte si era immaginata nelle sue fantasie. Cominciò anche ad allungare le mani per accarezzarli, per sfiorarli e anche per afferrare brevemente i loro cazzi.
Non so dire quanto durò quel momento. So che io mi accorsi di essere venuto ma il mio cazzo non ebbe il tempo di sgonfiarsi. Non contai gli orgasmi di Ary che intanto mi aveva inondato la pancia squirtando più volte. Il segnale che il gioco stava per finire arrivò quando il primo dei dieci schizzò il suo piacere su di lei. Fu come se tutti stessero aspettando il via e uno dopo l’altro si scaricarono sul corpo di Arianna e, inevitabilmente, anche sul mio che stava sotto. Per lei ricevere addosso la sborra che tutti quegli uomini avevano versato per merito suo fu il colpo finale che le provocò gli ultimi spasmi di piacere mentre si accasciava su di me, quasi svenuta.
Gli uomini, silenziosi come erano arrivati, se ne andarono lasciandoci soli. Noi non avemmo la forza di ridestarci, di riprenderci o anche solo di muoverci e ci addormentammo così, lei sopra di me, sporchi di sborra.
Era stata tutta una catena di piacere. Ary godeva per il piacere che provocava in loro e noi, in particolare io e l’Architetto, godevamo per il piacere che vedevamo in lei, accrescendo a vicenda il proprio piacere grazie a quello altrui.
Il mattino dopo lei aveva un’aria sognante. Sembrava del tutto appagata. Accennammo vagamente a quello che era successo. L’impressione era che dovessimo ancora entrambi metabolizzarlo del tutto e le immagini che avevamo in testa dovessero ancora sedimentarsi prima di poterne discutere veramente. Giusto una curiosità mi venne da chiederle, visto che io, in tutte quelle settimane, in tutta quella vicenda, ancora non sapevo che volto avesse l’Architetto che non avevo mai visto se non nell’ombra.
“Ma qual era lui?” le chiesi.
“Era quello proprio dietro di me. E sai una cosa buffa? Ho allungato la mano anche dietro e l’ho sentito. Era duro anche lui. Durissimo. E non solo. Era anche bello grosso.” mi rispose ridendo dopo averci pensato un attimo e dunque io mi resi conto che era l’unico che non ero riuscito a vedere. Non so se l’avesse fatto apposta, ma mi restò quel mistero e mi restò perché dopo quella serata non si fece più vivo. Forse gli avevamo dato il massimo che poteva chiederci.
Quel particolare del suo pene in erezione a dispetto dell’idea che ci eravamo fatti di lui ci stupì. O lei era riuscita nel miracolo di ridestarlo dall’impotenza, o era stato tutto un gioco, una messinscena, oppure aveva soltanto bisogno dello stimolo mentale massimo. Aveva bisogno di fare provare il massimo piacere possibile nella donna che aveva di fronte per potergliene succhiare via una parte e godere a sua volta. Il suo non era altruismo. Il fatto che avesse bisogno del piacere altrui per avere il proprio era solo un piacevole effetto collaterale del suo feticismo. Noi avevamo usufruito dell’effetto collaterale ma non ci aveva lasciato soltanto tutti quegli orgasmi. Ci aveva in parte contagiato. O aveva risvegliato aspetti della nostra sessualità un po’ sopiti. Io mi accorsi che il pensiero più eccitante che potevo avere era sapere che la mia donna godeva e non importava per cosa e a causa di chi. Arianna, mi confessò, aveva capito che il massimo del godimento lo aveva quando sapeva che qualcuno stava godendo per lei, insieme a lei e a causa di lei. Questo diede vita ad un periodo di esibizionismo e di coinvolgimento di altre persone nel nostro ménage. Alla ricerca del piacere. Nostro e altrui.