Il tavolo della cucina

Lei conosce i rischi dell’incontrare un suo vecchio spasimante, ma ancora non sa di cosa è capace lei stessa…

Finiti gli esami della sessione estiva dell’università ero tornata alcuni giorni nel paese dei miei. Il mio fidanzato era rimasto in città. Non lo biasimavo, non conosceva nessuno e non avrebbe avuto niente da fare. Anche io non ci tornavo volentieri, ma un paio di settimane in famiglia bisognava che le facessi.

Le giornate trascorrevano noiosamente. Era caldo, non c’erano svaghi e non c’era quasi più nessuno dei miei vecchi amici di infanzia. Per lo più passavo il tempo in giardino a leggere.

In tutta questa assenza di eventi avevo però una questione da gestire. Si era rifatto vivo Mario, un amico dei miei genitori, sebbene un po’ più giovane di loro. Con Mario qualche estate prima avevo commesso una leggerezza. Per la mia inesperienza mi ero lasciata attrarre da lui. Non avevo il ragazzo all’epoca, anzi non ne avevo mai avuto uno serio. Detto in altri termini ero ancora totalmente vergine.

Con la sua insistenza e capacità Mario mi aveva spinto a fargli un pompino. Il mio primo pompino. Aveva provato ad ottenere altro da me ma non me la ero sentita. Volevo che la mia vera prima volta fosse con un mio fidanzato, non con un conoscente di almeno vent’anni più vecchio di me. C’erano stati solo altri pompini.

Poi avevo avuto dei fidanzati. Avevo recuperato il tempo perduto. Non ero più certo quella ragazzina ingenua che non aveva mai toccato un vero cazzo.

Mario in qualche modo aveva saputo che ero in paese. Mi aveva scritto. Aveva insistito perché ci vedessimo. Lo avevo incontrato passando per la piazza, lui stava spesso al bar centrale. Mi aveva pregato di incontrarci da soli. Voleva parlare. Mi aveva fatto dei gran complimenti. Mi avevo detto che ero sempre più bella. Più donna. Avevo declinato, in modo cortese ma fermo. Mi turbava l’idea di stare da sola con lui. Per di più avevo un fidanzato che mi aspettava in città. Non era il caso di stare troppo a contatto con Mario.

Un giorno ero a casa da sola. I miei erano via tutto il giorno. Si presentò Mario. Disse che cercava i miei, ma forse aveva saputo che mi avrebbe trovato da sola. Insistette per entrare e lì mi ricordai perché avevo cercato di mantenere le distanze con lui: perché riusciva a convincermi, era insistente, sapeva rigirare le cose a suo favore e alla fine io cedevo.

Lo feci entrare in cucina, fresca e in penombra rispetto alla calura esterna. Io ero scalza e indossavo soltanto dei pantaloncini aderenti e una canottiera. Sotto non avevo nient’altro. Lì, nella stanza, con lui che mi osservava mi sentivo quasi nuda.

“Stai diventando sempre più bella, Sara, stai acquisendo quella femminilità che unita alla tua bellezza ti rende irresistibile.”

“Dai, smettila, cosa sei venuto a fare?”

“Sei fidanzata, Sara?”

“Sì, ho un fidanzato, quindi è meglio che mi lasci in pace.”

Rimase a fissarmi con il suo sguardo carico di voglia. Mi sentii ancora più esposta. Mi venne in mente qual era l’altra qualità di Mario che mi spingeva a tenerlo il più possibile lontano da me, quella che alla fine era stata la sua vera forza di convincimento nei miei confronti. Esprimeva voglia, esprimeva desiderio. Percepivo quanto fosse forte il desiderio che lui aveva per me e questo mi faceva sciogliere. Non avevo una gran esperienza in fatto di fidanzati, li potevo contare sulle dita di una mano, ma in nessuno mai, nemmeno col mio attuale, mi aveva fatto sentire così desiderata come mi sentivo quando Mario mi guardava. Non so se lui fosse consapevole di questa sua caratteristica, ma di sicuro era in grado di capire che non mi era indifferente.

“Voglio scoparti, Sara. Da anni ti voglio. Mi è rimasta qui che non sia ancora successo fra noi.”

Arretrai appoggiandomi al tavolo. Non lo feci consciamente ma la postura che assunsi sembrava un invito ad essere presa. Lui si avvicinò. Mi accarezzò con due dita su una guancia poi, senza interrompere il movimento, scese lungo il collo. Ebbi un brivido. Essere sfiorata nel collo mi faceva impazzire. Non poteva saperlo ma lo aveva intuito prima che tutti i miei fidanzati.

La mano arrivò al seno, infilandosi sotto la canottierina e trovando il capezzolo già un po’ inturgidito. Avevo già raggiunto il punto di non ritorno. In un attimo mi aveva conquistata. Ecco perché non volevo stare con lui. Lo sapevo. In quegli ultimi anni ci avevo pensato spesso a lui e alla differenza che c’era stata nel rapporto con lui e nei rapporti con i miei coetanei.

Mi sfilò la maglietta. Poi mi afferrò per il collo e mi girò sbattendomi sul tavolo. Strappò via i pantaloncini, forse li ruppe anche. Ero nuda, piegata a novanta, offerta a lui.

“Dio bono che culo che hai! E’ il più bel culo che ho mai visto. Avresti dovuto sentire i commenti degli altri al bar l’altro giorno.”

Ero lì, nuda e disponibile per un uomo che non era il mio fidanzato e mi sentivo orgogliosa per gli apprezzamenti che lui faceva al mio culo. Ma chi diavolo ero? Come ero diventata così? Perché sentivo una voglia di essere presa che normalmente non sentivo mai?

“Cazzo se sei bagnata, piccola troia. Ne hai voglia, allora, eh? Dimmelo che hai voglia di essere scopata dal tuo Mario. Dimmelo.”

Non potevo dirglielo. Ne avevo voglia, ma non potevo ammetterlo. Stavo tradendo il mio fidanzato, non potevo. Mi girai un attimo per guardarlo. Si era abbassato i pantaloni e il suo cazzo puntava verso di me. Me lo ricordavo il suo cazzo. Grosso e venoso. Anche questo era diverso da quello di tutti gli altri. Sembrava più maschio, più animale.

“Dai dimmelo!” insistette.

“No.” risposi io ed era chiaro come fosse una risposta alla richiesta di dirglielo non certo a quella di volerlo fare.

“Ho capito, vuoi che lo faccia ma non vuoi ammetterlo. È così, vero troia?”

Non gli risposi ma incrociai i polsi dietro la schiena. Lui capì subito e con la grossa mano nodosa mi strinse i polsi bloccandomi le braccia. Mi sciolsi definitivamente. Mi sentivo inerme nelle sue grinfie, mi sentivo aperta pronta ad accoglierlo, mi sentivo in suo potere e questo mi piaceva, mi dava modo di non darmi troppa responsabilità in quello che stavo facendo e di godermela appieno.

Entrò in me, scivolando facilmente nonostante percepii l’ingombro insolito. Grugnì e ansimo, spingendo la sua voglia dentro di me. Sbrodolai ed ebbi più di un orgasmo. Schizzai fuori anche del liquido, non mi era mai capitato, ne avevo solo sentito parlare.

Ad ogni colpo il tavolo della cucina, seppur antico e quindi pesante, si spostava di qualche centrimetro. La roba che c’era sopra pian piano rotolò per terra o venne direttamente scaraventata giù dai nostri movimenti. L’ambiente familiare, la casa in cui ero cresciuta, dava a tutta la scena un elemento di perversione in più che mi faceva impazzire. Il piacere nel fare una cosa proibita, nell’essere in quel momento una adultera aumentava il senso di trasgressione.

Mi sentivo totalmente posseduta.

Per fortuna lui ebbe un momento di lucidità, incredibile vista la foga con cui mi stava scopando.

“Posso venirti dentro, vero? Prendi la pillola, vero?”

“No, no, cazzo, no.” risposi io.

“Cazzo, stavo per venire.” disse lui sfilandosi e lasciandomi un senso di vuoto.

Rimanemmo lì fermi, ansimanti. Lui sembrò indeciso sul da farsi. Io non ero in grado di pensare a nulla. Le onde residue degli orgasmi ancora spazzavano il mio corpo.

“Facciamo così.” bofonchiò dopo poco risistemandosi meglio contro di me.

Sentii il suo cazzo appoggiarsi fra le natiche e poi lui spingerlo con una mano la sua cappella dura contro il mio sfintere morbido. Non ebbi tempo di reagire, non ebbi la prontezza di capire cosa stava succedendo. Non provai neanche ad oppormi. Sapevo che non avrei potuto e, nello stato di eccitazione in cui ero, sapevo anche che non avrei voluto. Feci l’unica cosa che avevo sentito dire riguardo ai rapporti anali: bisognava rilassarsi e lasciarsi andare, non opporsi alla penetrazione. Così aveva detto qualche mia amica più intraprendente o più sincera delle altre.

Qualche momento di adattamento e poi cominciai a godere. Era bellissimo. Quasi più che in figa. Era forse la sensazione amplificata di fare una cosa proibita insieme alla consapevolezza che mi stava possedendo in maniera ancora più profonda, più intima, più esclusiva.

Urlai i miei orgasmi. Non mi preoccupai che qualcuno potesse udirmi all’esterno, con tutte le finestre aperte.

“Quanto cazzo sei troia, quanto cazzo lo prendi bene nel culo. Lo avevi già preso spesso nel culo, vero?” mi sussurrò nell’orecchio mentre con tutto il suo corpo pesava contro di me.

“No… mai…” confessai.

“Che cazzo dici? Ti ho sverginato il culo?”

“Sì…” risposi a bassa voce.

“Oh cazzo che troia che sei…” esclamò mentre si svuotava dentro di me.

***

Appena se ne fu andato mi affrettai a rimettere tutto a posto in cucina e spalancai le finestre per far uscire qualsiasi sentore di quello che era successo.

Avevo oltrepassato un limite. Avevo fatto una cosa che non dovevo fare e mi era piaciuta tantissimo. Mi sentivo in colpa. Mi sentivo una cattiva persona.

Presi in mano il telefono e scrissi al mio fidanzato. Ero dilaniata. Scrissi un messaggio sdolcinato ma poi lo cancellai prima di inviarlo. Ne scrissi uno diverso ma cancellai anche quello. Poi infine ne scrissi un altro ancora e rimasi a leggerlo e rileggerlo con il dito che tremava sopra al pulsante per inviarlo.

Potevo davvero scrivergli quella cosa? Volevo davvero quella cosa? Quanto avrei dovuto rifletterci su per capire se era la cosa giusta da fare? Anzi no, sicuramente non era giusta, ma forse era ciò che desideravo.

Inviai e poi me pentii subito dopo. Mi agitai e provai a cancellare, ma subito vidi che lui lo aveva ricevuto e letto.

"Ok. Per me non c'è problema. Ma non ti annoi lì."

Fu la sua risposta a quello che gli avevo scritto, cioè:

"Ciao amore, ti dispiace se mi fermo dai miei una settimana in più?"

Che stronza che ero stata. Solo per poter scopare una settimana in più con Mario. Che fidanzata pessima che ero. Ma quanto mi piaceva questa prospettiva.

Gli risposi:

"Grazie. Sì mi annoio ma è giusto che stia un po' qua in compagnia dei miei."

E dopo averlo inviato cominciai a masturbarmi per scacciare il senso di colpa.

4 commenti su “Il tavolo della cucina”

  1. Noto con piacere che stai pubblicando parecchio negli ultimi mesi e senza rovinare la qualità della tua scrittura. Complimenti, non è una cosa da poco.

    1. Grazie, il mio ritmo di pubblicazione dipende principalmente dall’ispirazione che può nascere semplicemente dalla fantasia o da cose che succedono. Poi devo trovare il tempo per scrivere racconti completi. Difficilmente mi metto a scrivere per pochi minuti alla volta. E ne ho tanti che non sono riuscito a completare che giacciono lì in attesa di esserlo. In quest’ultimo periodo ne ho infatti completati un po’ che erano lì da tempo oltre a scriverne di nuovi.

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